Capitolo 2.2: Invasione

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Edgar e Dave raggiunsero il grande giardino interno del palazzo reale arcadiano. Si appostarono dietro la parete che separava l'atrio dall'inizio dello spazio verde. In lontananza, si poteva distinguere chiaramente il cozzare delle lame.

«Mi hai salvato la vita, Dave, ma ora dovrò fare a meno del tuo prezioso aiuto. Raggiungi Alixandra e mettetevi in salvo, io mi dirigerò agli appartamenti reali.» Edgar sguainò di nuovo la spada. «Devo raggiungere Mia.»

Dave lanciò un'occhiata di complicità a Edgar. «D'accordo. Ma fa attenzione, amico.» Voltò le spalle a Edgar e proseguì per il colonnato che circondava il parco cercando di non attirare gli sguardi dei soldati nemici.

Rimasto solo, Edgar aveva più libertà di azione. Attraversò il giardino attirando su di sé i soldati avversari intenti a fronteggiare le guardie alleate: Giunsero in tre. Arrivò come un fulmine contro il primo: aggirò il soldato evitando il suo attacco, ruotò l'elsa e gli conficcò la spada sulla schiena. Si scansò appena in tempo per evitare un nuovo fendente e, con un gesto repentino, estrasse la lama dai resti del primo soldato e menò un affondo che squarciò il ventre del secondo armigero che si frantumò ai suoi piedi. Fu il turno del terzo soldato: parò il suo attacco e con un movimento secco calò la lama sulla mano della spada rompendogliela in mille pezzi. Per evitare che potesse ancora muoversi com'era accaduto per il soldato decapitato da Dave, gli ruppe anche le gambe.

A scontro concluso, raggiunse gli alleati superstiti. Verificò le loro condizioni e impartì loro alcuni ordini. «Rimanete di guardia senza farvi scoprire, siamo in forte svantaggio numerico, non ci resta che giocare sull'effetto sorpresa. Fermate chiunque tenti di oltrepassare la vostra guardia e farsi strada nel cuore del palazzo.»

«Signor sì, signore!» Urlarono in coro.

Edgar salì per la gradinata che conduceva agli appartamenti reali. Varcò l'ingresso e richiuse la porta alle sue spalle. Nessuna guardia. Nessun movimento. Il silenzio lo rese irrequieto. Dov'erano finiti i suoi uomini? Da quando era stato lanciato l'allarme qualcosa aveva cominciato a puzzare di marcio. Proseguì guardingo, pronto a intervenire al minimo rumore sospetto.

All'improvviso, lo scricchiolio di una trave attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo e sussultò per lo stupore: dal soppalco di legno alla sua destra un soldato in armatura arcadiana si lanciò contro di lui.

«Che significa? Sono dei vostri!»

Edgar parò un montante e contrattaccò a sua volta tagliandogli un braccio. Altri armigeri uscirono dai loro nascondigli e lo attaccarono. Edgar li affrontò uno dopo l'altro ma ben presto si rese conto di essere in forte svantaggio.

Possibile che gli avessero teso una trappola?

Altri soldati che fino a poco prima riteneva alleati gli furono addosso: Edgar indietreggiò, parò un fendente e ne evitò un altro. Aggirò il soldato e lo colpì al ventre con un ridoppio mettendolo fuori gioco. Poi si avventò contro l'armigero più vicino: lo gambizzò e infine lo impalò a terra. Fece per ingaggiare l'ennesimo scontro, ma fu sorpreso alle spalle: venne spinto a terra e immobilizzato. Si divincolò cercando di liberarsi, ma un pugno guantato lo colpì in pieno volto, stordendolo. Lo disarmarono e lo fecero rialzare. Il labbro rotto cominciò a sanguinare.

«Portatelo dal re.» Sentì dire da una voce a lui familiare.

«Dal re? Che significa?» Rispose Edgar ancora intontito per il colpo appena subito.

Venne trascinato con forza nella direzione opposta rispetto a dove avrebbe voluto recarsi. Constatò che da lì sarebbero giunti alla sala del trono. Se i benicassiani avevano già occupato i punti nevralgici per il governo del regno di Arcadia, la sconfitta era già stata segnata. Come aveva potuto Hagen permettere l'ingresso in città dell'esercito armato nemico? Da lui ci si poteva aspettare qualsiasi cosa, ma consegnare il regno in mano nemica non riusciva a crederlo possibile.

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