Capitolo 4: Le segrete di Arcadia

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Edgar socchiuse gli occhi, lentamente. Non ci mise molto per realizzare dove fosse. La cella dove era stato rinchiuso era avvolta dalla penombra e incredibilmente fredda. Soltanto un fievole raggio lunare oltrepassava le grate di una piccola feritoia illuminando parte della nuda pietra che lo circondava. Si chiese per quanto tempo fosse rimasto privo di coscienza.

Cercò di rialzarsi facendo perno sulle braccia, ma una fitta al fianco lo costrinse di nuovo a terra. Le catene legate ai polsi e alle caviglie tintinnarono. Ci riprovò, facendo appello alle poche forze che gli rimanevano. Sentiva la testa pesante, gli venne una forte nausea. Esausto, appoggiò la schiena alla parete e si portò le ginocchia al petto. Mise le braccia sopra di esse e nascose il volto.

Si sentiva debole e inerme, privo della volontà di reagire di fronte a ciò che era accaduto a Mia.

La sua amata era morta, assassinata da re Alein IV e lui non era stato in grado di proteggerla. Hagen dal canto suo non aveva un mosso un dito, completamente soggiogato dalla volontà di quel folle. Provò un forte ribrezzo per quell'inetto che si definiva re, ma ancora più disgusto provò per se stesso, per non essere riuscito a evitare il peggio.

Era stato gettato in cella in attesa del giudizio ed era consapevole che non avrebbe avuto alcuna possibilità di difesa. Per disfarsi di lui, Hagen e Alein gli avrebbero addossato la colpa della morte della principessa e a quel punto non avrebbe potuto fare nulla per evitare di finire alla gogna.

Avvertì una nuova dolorosa fitta al fianco e il senso di nausea non accennò a diminuire. Gli venne da vomitare, ma ciò che uscì fu solo bile. Tossì reggendosi l'addome, ma il dolore si fece lancinante. In quello stato, non sarebbe arrivato al mattino. Stremato, si accasciò di nuovo a terra. Cominciò a sentirsi indolente, non voleva cedere, doveva rimanere sveglio ma le palpebre si rifiutarono di ubbidire alla sua volontà.

Qualche istante dopo, percepì qualcuno avvicinarsi dall'esterno della cella.

«Edgar» disse una voce familiare.

Edgar riaprì gli occhi. La vista era offuscata, tanto da non riconoscere chi lo aveva chiamato. Cercò di mettere a fuoco e finalmente riconobbe l'ombra al di fuori della grata. «Alixandra!» Disse incredulo. «Sei davvero tu? Che cosa sei venuta a fare qui?»

Alixandra abbassò il cappuccio e la stoffa che le nascondeva parte del volto. «Che domande, sono venuta a liberarti! Fuori di qui ci sta aspettando Dave, dobbiamo sbrigarci.»

«Siete forse impazziti! Se le guardie dovessero scoprire che sono evaso grazie a voi finirete nei guai.»

Alixandra si scostò dal volto una ciocca di capelli corvini come gesto di vanto. «Dimentichi che sono il medico di corte.» Sorrise. «È bastato bruciare dei fiori di Enula Campana e i tuoi carcerieri sono caduti in un sonno profondo. Non c'è nessuno di guardia in questo momento.»

«Hai quasi rischiato che anch'io mi addormentassi» puntualizzò Edgar cercando di rimettersi seduto.

«Credo ci voglia ben altro.» Alixandra inserì la chiave nella toppa della serratura e aprì la grata della cella. «Come ti senti?» Gli chiese poi avvicinandosi al prigioniero.

Edgar non rispose, il dolore al fianco parlò per lui facendogli serrare le mascelle.

Alixandra non perse tempo liberandogli polsi e caviglie, prese poi dalla sua borsa una borraccia con dell'acqua e una piccola fiala e li porse entrambi a Edgar. «Ti ho portato questo sciroppo di Spirea, serve per lenire il dolore delle ferite e abbassare la febbre. Riesci ad alzarti?»

Edgar afferrò la borraccia e bevve avidamente. Infine, prese la boccetta e ingurgitò lo sciroppo. Il sapore era così dolce che risultò stomachevole. «Se questo intruglio migliorerà le mie condizioni dovrei riuscirci.»

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