14 - Prospettiva

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Vergine
"È tutta questione di prospettiva.
Se non ti convince, ɐןɐıqɯɐɔ"

Avevo sempre avuto un'idea piuttosto precisa di come funzionasse l'amore. Credevo che fosse una sorta di costrutto che la nostra società aveva creato per garantire la continuità della specie. Un prodotto, insomma, che occupasse i nostri pensieri con sufficiente ardore da renderlo il centro del nostro universo.

Certo, sapevo che il mio non fosse il discorso più romantico di questo mondo, ma avevo avuto anni interi per osservare l'amore che mi circondava. I miei genitori? Niente di più di due persone che si tolleravano per vivere insieme. I genitori di Effie? Suo padre era stato beccato con la tata quando avevamo circa otto anni. Insomma, le prove erano chiare ed evidenti: l'amore era una bella coperta d'illusioni.

Ma l'attrazione, invece...

Avevo sempre dato per scontato che fosse quello il sentimento più forte. L'attrazione era incontrollabile, viscerale; la vibrazione di due anime su corde impossibili da individuare. Ne ero stata davvero convinta... almeno finché non ero uscita con Greg.

Credevo che lui fosse la scelta migliore per me: eravamo cresciuti insieme, avevo assistito alle tappe fondamentali della sua vita, come il primo giorno di scuola, il primo halloween insieme, la prima volta che avevamo bevuto una delle birre di suo padre. In più, si assicurava costantemente che stessi bene. Mi era sembrata una buona idea, quindi, provare a stare insieme.

Ricordavo quei mesi come i più semplici della mia vita: avevo avuto sempre qualcuno con cui dividere la confezione di gelato di Mamo's, e un amico con cui vedere le partite di football. Greg mi aveva preparata agli esami finali e mi aveva riaccompagnata a casa numerose volte, dopo essere andata al cinema con le mie amiche. Davvero, cosa potevo volere di più?

La sua presenza, però, non mi sconvolgeva, i suoi baci non m'incendiavano, l'idea di rimanere da soli nella stessa stanza non faceva palpitare il mio cuore...

Sbattei in malo modo l'anta del mio armadietto, facendola vibrare pericolosamente. Perché diavolo dovevo provare tutte quelle sensazioni, quando c'era Christian Case di mezzo?

«Qualcuno è di cattivo umore, oggi». 

Laya si appoggiò alla colonna con fare disinvolto, mentre la cascata di ricci color ebano le solleticava la vita.

«Lo sai» mentii, controllando brevemente il lucchetto, «è per la storia delle guide».

La vidi arrotolare i capelli in uno chignon morbido, che fissò con una matita. «Tua madre insiste ancora?» mi domandò.

Feci di sì con il capo. «Dovrei avere il test il mese prossimo».

«"Dovrei"?» ripeté perplessa.

«Sì, beh, se non scappo prima» borbottai. 

Non avevo più toccato un volante, dopo aver guidato con Christian. A dire la verità, quel giorno ero tornata a casa con l'insana voglia di rubare le chiavi di mio padre e fare tutta Hobart Street con la musica a palla. Ma quando avevo messo piede in cucina, mia madre aveva ripreso con le sue solite lagne e avevo lasciato perdere. Da quel giorno, non so, non mi ero più sentita così sicura da provare di nuovo.

Superammo l'ingresso della mensa, che Laya ancora stava blaterando consigli su come passare l'esame. «La mia abuelita lo dice sempre: è tutta una questione di convinzione».

«Beh, io posso anche provare a essere convinta» replicai, afferrando un piatto di riso e pollo. «Ma potrei schiantarmi molto convintamente contro un palo».

Recuperai il vassoio, pronta a dirigermi verso l'esterno, quando Laya mi prese per un braccio, facendomi fare una mezza piroetta su me stessa.

«Per favore...» mi supplicò con sguardo implorante.

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