C H R I S T I A NNegli ultimi due anni, tre eventi avevano cambiato la mia vita.
Mia madre era morta durante il mio penultimo anno di superiori.
Ero entrato al college con una borsa di studio in una delle università più famose per il football.
Mia sorella aveva smesso di mangiare e quel coglione di mio padre la nascondeva come se fosse un oggetto difettato.
«Questa clinica puzza» commentai, stendendomi sul suo letto.
Alison come al solito se ne stava accovacciata sulla grande poltrona vicino alla finestra. Quel giorno era circondata dai suoi quadri. Schizzi di pittura e acquarelli mezzi sciolti sporcavano il tavolino bianco dove aveva appoggiato la tavolozza. Aveva scelto solo colori chiari per il suo nuovo dipinto, segno che quella doveva essere una buona giornata per lei.
«È patchouli» mi corresse candida, sistemando con il carboncino una delle linee che aveva appena tracciato. Era la sua terapia, la migliore che quel posto di merda le avesse messo a disposizione.
Tornai a fissare il soffitto, due crepe sottili si avvicinavano senza mai incrociarsi. «Secondo me puzza e basta».
Sentii mia sorella sbuffare e poco dopo il rumore della sedia che si spostava mi fece capire che, per quel giorno, ne aveva avuto abbastanza della pittura. «Non ti piace proprio questo posto, eh».
Restai in silenzio, mentre si sdraiava accanto a me. Lo avevamo fatto un milione di volte, da piccoli. Ce ne stavamo sul letto dei nostri genitori inventando storie mentre Alex subiva le lezioni private che gli impartiva nostra madre. Avevano sempre avuto un rapporto speciale loro due, ma Alison stravedeva per nostro fratello e forse, se non avevo finito per odiarlo, era solo grazie a lei.
«Ti vorrei a casa» ammisi, girandomi sul fianco. Alison al contrario stava ancora fissando il soffitto come se non avessi parlato. Ci riprovai. «Non odio questo posto, ma odio saperti rinchiusa qui».
Forse avevo esagerato, non ero mai stato bravo con le parole, Alison però mi conosceva abbastanza da saperlo. «Non ci riesco, Chris». Quel soprannome fu un pugno allo stomaco, perché solo due persone mi chiamavano in quel modo: Alison e... qualcuno che avevo cancellato molto tempo prima. Tornai a concentrarmi su mia sorella, perché era l'unica che meritasse la mia attenzione. «Non riesco a tornare in quella casa» riprese, voltandosi a guardarmi. Il labbro inferiore le tremava e l'ultima cosa che volevo fare era rovinare quella giornata, facendola piangere. «Non riesco a tornare là senza mamma, a vedere le sue cose stipate nel seminterrato, e papà che ha tolto tutte le foto, e...».
«Lo so» la interruppi, avvicinandomi. Afferrai delicatamente le sue spalle esili e la convinsi ad appoggiarsi a me. Era ancora troppo magra, anche se all'ultimo incontro con i medici avevano detto che accettava più volentieri il cibo e che aveva iniziato a introdurre alimenti che prima rifiutava. Inspirai piano, ci voleva tempo, lo sapevamo tutti. «Non ti farei mai tornare a Danvers. Potresti venire da me a Boston, però, ho una casa spaziosa lì».
Alison mi rivolse un sorriso triste. «Per fare cosa? Tu sei al college e poi hai gli allenamenti. Io qua ho le lezioni di arte, la pittura, la mia psicologa...».
Un'ondata di frustrazione mi fece risalire la bile in gola. Aveva ragione, non sarei mai riuscito a seguirla come meritava. Erano due anni che mi sentivo inutile. Due anni che non potevo fare niente per mia sorella, che non capivo cosa cazzo passasse per la testa di mio fratello, che a malapena parlavo con mio padre.
Infilai una mano tra i capelli, cercando di gestire la frustrazione. «Mi sembra di non poter fare un cazzo: tu sei qui, Alex sta buttando via la sua occasione con il football...». Cosa diamine dovevo fare?
STAI LEGGENDO
Stelle avverse
ChickLitClaire ha tre certezze, piccole ma indissolubili: 1. Iniziare l'anno scolastico con Plutone contro è stata una stronzata 🪐 2. Christian Case è un maledetto Figlio del Demonio™ 3. Non c'è alcuna possibilità che collabori davvero con lui... No, nepp...