ClairePensandoci quel sabato sera, seduta sul divano dei miei genitori, con un vestito da sera e due trampoli impossibili, non ricordavo neppure l'ultima volta in cui io e mia madre ci eravamo trovate in salotto insieme.
«Claire, si può sapere cosa ci fai qua a quest'ora?» mi chiese stropicciandosi gli occhi.
Mia madre era deliziosa nel suo pigiama coordinato in seta italiana. Così perfetta e ordinata anche con i capelli sciolti e il viso assonnato, che quasi mi dispiaceva scaricarle il barile di problemi che mi portavo appresso da due anni. Niente mi faceva sentire più a disagio di non rispettare i canoni ai quali lei aspirava per me, ma ero comunque sua figlia e doveva accettarmi per quello che ero.
«Siediti, mamma» le dissi dolcemente, allentando il cinturino dei tacchi.
La sentii sbuffare mentre trafficavo con i laccetti. «Insomma, non possiamo parlarne domani? Saranno almeno le undici».
Erano a malapena le dieci.
«Siediti, mamma» ripetei, sperando che fosse meno imbottita di tranquillanti del solito. «Per favore» aggiunsi, quando sollevai la testa e la vidi ancora impalata di fronte a me.
Mia madre inspirò rumorosamente dal naso, una cosa che non avrebbe mai fatto in condizioni normali. Sì, aveva preso qualcosa per dormire anche quella sera.
Visto che non mi ascoltava cambiai tattica: scalciai delicatamente i sandali e mi alzai. Mia madre non batté ciglio, ma quando mi girai e iniziai a camminare verso la cucina, sentii la sua voce seguirmi. «Si può sapere dove stai andando, ora?».
La sua domanda mi raggiunse alla macchinetta del caffè, dove scossi il contenitore trasparente per valutare quanto ne fosse rimasto. Bastava per entrambe, ma mi allungai per prendere solo una tazza. Se le cose fossero andate per le lunghe, non ero sicura che una sola dose di caffè sarebbe bastata per mia madre.
«Claire Jane Cooper Davis!». La sentii entrare in cucina, elencando il mio nome per intero come se mio padre non fosse beatamente nel mondo dei sogni, al piano superiore. «Dimmi subito cosa sta succedendo».
Ero ancora di schiena, con le mani strette attorno alla sua tazza e gli occhi chiusi, ma non riuscivo a muovermi. Era più di aver paura per una strigliata e non era neanche la possibilità che mi facesse sentire nuovamente inadeguata. Era la possibilità che non mi prendesse sul serio.
Dylan era un problema grosso, un problema che non avrei dovuto affrontare da sola fin dall'inizio. E anche se ero lì, nella sua cucina, dopo essermi aperta con Christian, dopo aver raccontato tutta la verità anche a Logan, a Cassie e ad Alex, io comunque non sapevo da che parte iniziare per far sì che mia madre mostrasse anche solo un briciolo d'interesse nei miei confronti.
Riaprii gli occhi e il salvadanaio che mio padre teneva per le mance mi suggerì la risposta.
Senza dire una parola, mi allungai per prendere una banconota da un dollaro e insieme a quella tornai verso mia madre.
Non disse una parola mentre appoggiavo la tazza di caffè sul tavolo tra di noi, ma la vidi inarcare un sopracciglio quando accanto vi depositai anche la banconota.
«Credo di aver bisogno di un legale e vorrei che fossi tu» dichiarai, fingendomi sicura.
Mia madre fece scorrere i suoi occhi da me alla banconota per un paio di volte, come se non stesse comprendendo appieno il significato di quelle parole. Ero quasi del tutto sicura che al momento si stesse chiedendo se non aveva esagerato con i sonniferi, ma dopo un po' con mia grande sorpresa la vidi scostare la sedia dal tavolo. «Sediamoci» propose.
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Stelle avverse
ChickLitClaire ha tre certezze, piccole ma indissolubili: 1. Iniziare l'anno scolastico con Plutone contro è stata una stronzata 🪐 2. Christian Case è un maledetto Figlio del Demonio™ 3. Non c'è alcuna possibilità che collabori davvero con lui... No, nepp...