25 - Infiltrata

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Leone

"Non sempre siamo pronti a trovare ciò che da tempo stiamo cercando"


C'era un lato positivo nell'aver ricevuto quell'ennesima lettera contro di me. Certo, non che mi piacesse essere minacciata o insultata da uno sconosciuto che, a quanto pareva, si era fatto un'idea piuttosto precisa sul mio conto. Ma persino in quella situazione ero riuscita a trovare un risvolto positivo: questa volta il biglietto non era scritto a computer.

Fissai per un po' quelle lettere traballanti, cercando di capire se fosse una grafia che conoscevo già. Ero cresciuta a pane e libri di Agatha Christie, e sapevo che bastava una "A" un po' più arrotondata o una "E" spigolosa per riconoscere una grafia da un'altra. Quella che avevo sotto gli occhi, però, non mi sembrava affatto famigliare.

Rigirai tra le dita il foglietto, sventolandolo per farmi aria mentre i miei occhi tornavano allo specchio della mia camera. Nel riflesso vedevo solo degli stivaletti ormai consunti, un vestitino decisamente troppo corto e una dose infinita di pessime decisioni. Ero davvero sicura di ciò che stavo per fare?

Il cellulare sul mio letto squillò, strappandomi da quell'analisi. Allungai il collo per leggere il messaggio.

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Da Effie:
Pizza da me? Mio fratello non c'è.
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Afferrai il telefono e digitai velocemente la risposta.

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A Effie:
Mal di testa. Oggi sto nel letto, grazie
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Non avevo ancora premuto "invio", che il senso di colpa per quella bugia mi stava già mangiando lo stomaco. Non ero abituata a quella situazione... a dover mentire alle mie amiche. Eravamo cresciute insieme, ci eravamo sempre raccontate tutto, anche quando qualcosa ci faceva stare male o ci imbarazzava, ma sentivo di doverle proteggere da quella situazione. O forse stavo solo proteggendo me, ancora non ne ero del tutto sicura.

Riposi il cellulare e afferrai il foglietto che avevo trovato nel mio armadietto a scuola.

"Credi di essere migliore degli altri?".

No, non lo credevo affatto, ma c'era una sorta di sfida in quella domanda che mi spingeva ad agire. Dovevo trovare il mittente di quei messaggi e, per farlo, dovevo verificare la mia prima teoria, confrontando la grafia di quel biglietto con l'indagato numero uno. Per quello avevo mentito a Effie e stavo andando nell'ultimo posto in cui mi sarei dovuta imbucare: la festa di compleanno di Madison Pierce.

***

Stavo tamburellando le dita sulla borsetta da almeno cinque minuti ormai. La casa di Madison era solo a un paio di vie dalla mia, ma in quel breve tragitto la mia convinzione era colata a picco. Certo, il piano era semplice: dovevo raggiungere la sua camera e confrontare il mio biglietto con uno dei suoi quaderni. Sembrava facile, ma il problema era che non avevo la minima idea di come muovermi. Non solo non avrei mai dovuto essere a quella festa, ma non sapevo neppure dove si trovasse la sua stanza.

«Ci saranno almeno quattro o cinque camere» mormorai, contando le finestre buie del secondo piano.

Non sembrava esserci anima viva lì. La festa si stava svolgendo interamente tra il giardino e quello che immaginavo fosse il salotto, perché un mucchio di ragazzi erano appostati sul vialetto in attesa di entrare nell'abitazione.

Ripresi a fissare le finestre. «Due, quattro, sei...». Stavo cercando di memorizzare la disposizione, ma l'ansia per ciò che avrei fatto mi rendeva difficile concentrarmi. «Dio, mi sento una stalker» borbottai tra me e me, prima di staccarmi dal muretto.

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