65 - Presente (II)

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C H R I S T I A N


La gola secca mi bruciava e un dolore martellante mi trapanava le tempie. Strizzai gli occhi, piantando una mano tra i capelli nel tentativo di far passare il cerchio alla testa. Dio, odiavo la luce.

Mal di testa, nausea, reattività alla luce... Conoscevo quei sintomi. Quanto cazzo avevo bevuto la sera prima?

Non feci in tempo a pensare a cosa fosse successo meno di dieci ore fa, che la mia mano scattò verso l'altro lato del letto per cercarla.

Claire era tornata a casa con me, dopo la festa.

Claire aveva giurato che sarebbe rimasta.

Tastai il tessuto liscio del copriletto. Era freddo, vuoto.

Già, Claire aveva anche mentito.

Mi voltai sul fianco, rendendomi conto di non aver affatto sbagliato: il lato sinistro del letto era vuoto e la coperta giaceva arrotolata ai piedi del letto, segno che quantomeno non mi ero sognato tutto: Claire era davvero stata qui.

Ora, però, non c'era più.

Scattai in avanti, rimanendo seduto su quel letto vuoto mentre la delusione mi montava nel petto. Forse non riuscivo neanche a esserne sorpreso, ma amareggiato quello sì, cazzo, che potevo esserlo. Non erano passate neanche ventiquattro ore da quando le avevo chiesto di restare ed ecco che l'incubo che avevo già vissuto ricominciava.

Era sparita, cazzo. Era sparita mentre dormivo come la prima volta.

Inspirai e strinsi la coperta tra le nocche così forte da farmi male. Il pensiero di non vederla più o di non sapere neppure quella volta cosa fosse successo mi tappò la gola. Non potevo passarci di nuovo, non dopo averle chiesto chiaramente quali fossero le sue intenzioni.

"Ci sarò domani", "torniamo a casa insieme". Quante belle parole del cazzo, le solite bugie in cui ci cascavo sempre.

L'idea di far passare i postumi e la delusione con la bottiglia di gin che tenevo in salotto mi solleticò la testa, ma quello era ciò che avrei fatto in passato. Due anni fa, non avevo combattuto per averla, non avevo cercato di capire cosa fosse successo. Mi ero sentito troppo deluso e frustrato per mettere da parte l'orgoglio e pensare che forse, se mi aveva lasciato, un motivo c'era. Non volevo giustificarla o perdonarla per quella scelta, ma io mi ero arresto ancora prima di chiedermi se ci fosse una spiegazione.

Non lo avrei fatto quella volta.

No, quel giorno Claire avrebbe dovuto dirmi chiaro e tondo che aveva chiuso con me.

Mi liberai delle coperte, raggiungendo come una furia la porta di camera mia. La spalancai, pronto a ribaltare ogni cosa pur di trovarla, pronto a chiamare persino mio fratello, a implorare mia sorella se necessario, pronto a fare qualsiasi cosa per rivederla ancora una volta e chiederle semplicemente "perché". Perché sparire sempre, invece di affrontare la situazione con me.

Quando mi ritrovai sul ballatoio, però, un forte odore di caffè mi invase le narici. Piantai le mani sul corrimano di vetro e mi sporsi verso il salotto sotto di me.

Seduta su uno degli sgabelli del bancone, Claire batteva furiosamente i tasti del mio computer. Le cuffiette azzurre che usavo per fare allenamento spiccavano tra i capelli biondi parzialmente raccolti in un nido disordinato e, vederla lì, nel mio salotto, in una delle mie vecchie magliette della Lincoln High, mi fece gonfiare così tanto il petto da pensare che sarei morto all'istante. Sì, sarei morto su quel tappeto bianco e polveroso, chiedendomi come diavolo avessi fatto ad affidare il mio cuore a quella ragazza troppo scontrosa e caparbia per convincerla a ridarmelo.

Stelle avverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora