72 - L'ultima paura (I)

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C H R I S T I A N


«Sei sicura di volerlo fare?» ripetei per la milionesima volta, osservando lo specchietto dell'auto.

Claire incrociò i miei occhi dal sedile sul retro. «Se rispondo "no" questa volta vinco qualcosa? Un peluche? Una nuova macchina per i waffle?».

Mio fratello accanto a me cercò di trattenere una risata, ma finì piegato in due a tossire come un matto.

«Chissà se arriveremo vivi alla fine della via» domandò candidamente Cassie, allungandosi per tirare una manata ad Alex che stava ancora tossendo.

«Cento metri e vi libererete di noi» le ricordai, svoltando su Picket street.

«Ed era ora!» esclamò Effie, tenendosi al mio sedile. A quanto pareva, non aveva ancora superato il suo mal d'auto.

Mi fermai al semaforo e chiusi gli occhi per un istante. Dio, quelle tre insieme avrebbero fatto ammattire la pazienza di un santo.

«Abbiamo tempo per un caffè?» sentii Cassie domandare.

Effie prese tempo. «Mmh, sì, abbiamo dieci minuti credo».

«Ottimo, perché vorrei anche una ciambella» affermò, «o forse dei nachos».

La colonna di macchine ripartì e io mi affrettai a superare lo spartitraffico che portava vicino al marciapiede. Boston il sabato mattina era un delirio insopportabile, ma non quanto noi cinque rinchiusi in auto da venti minuti.

«Torniamo a prendervi tra un'ora» ricordai a tutte e tre. Mi voltai inserendo le quattro frecce, ma quando mi ritrovai a osservare Claire dimenticai all'istante quello che stavo per dire.

Quel giorno aveva legato i capelli in una coda alta tiratissima che evidenziava ancora di più i suoi occhi grandi. Non sapevo come ci riuscisse, ma quando tutto quell'azzurro m'investiva io non ricordavo più niente.

Si avvicinò, sbattendo le ciglia con aria ammaliante. «Se mi chiedi di nuovo se ne sono sicura, ti tiro una scarpa in testa» sussurrò con voce suadente.

Sentii Alex dire qualcosa sul fatto che fossimo smielati, Cassie ed Effie invece avevano già fatto scattare la sicura delle portiere per uscire.

«Non vuoi dirmi proprio nulla?» ritentai. Claire era stata tremendamente vaga sulla paura che voleva affrontare.

Scosse la testa e i capelli le ondeggiarono contro la spalla. Un milione di pensieri inopportuni riempì la mia testa. «Solo che cercherò di togliermi il minor numero possibile di vestiti» mi stuzzicò.

Grugnii contrariato. Vestiti? Io contavo sul fatto che non avrebbe dovuto togliere neppure il giubbino.

La sentii ridacchiare, mentre si sporgeva per lasciarmi un bacio veloce sulle labbra, ma aveva fatto male i suoi conti.

Mi ripresi in un attimo.

La sua bocca sfiorò la mia ma la mia mano si era già mossa per infilarsi nei suoi capelli. Le afferrai la nuca, tenendola a un respiro di distanza. «Torni da me dopo?» mormorai.

La situazione a casa sua era diventata abbastanza incasinata da quando aveva detto ai suoi genitori che non voleva più iscriversi ad economia, ma forse lo era anche di più da noi. Mio fratello non parlava più con nostro padre e si era trasferito a Boston. Per un po' ero stato da lui perché lui e Cassie erano finiti coinvolti in un brutto processo che aveva attirato le attenzioni dei media. Adesso però che Claire passava un mucchio di tempo con me, stavamo stretti in quattro sotto quel tetto.

Stelle avverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora