52 - Collisione (II)

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Claire



«Avevi detto che saresti venuta».

Logan si appoggiò accanto all'armadio, richiudendo l'anta dove stavo osservando i vestiti che avevo riportato da New York. Erano tutti del periodo in cui Bay aveva capito che la moda pagava più dei turni come cameriera da Chipotle. In quei mesi estivi, lei aveva strappato i primi ingaggi mentre io le avevo sequestrato metà dei campionari che inviavano nel nostro appartamento. All'epoca sembrava tutto così perfetto, che avrei dovuto sentire la puzza di fregatura da oltre un miglio.

Mi voltai verso Logan, scocciata. «Li stavo guardando, quei vestiti».

«E io sto cercando di parlare con te, ma ultimamente sei peggio del solito». Incrociò le braccia e piantò una spalla contro l'anta. «Si può sapere cosa succede?».

Mi voltai, rinunciando a sistemare l'armadio per quella sera. Era raro che Logan insistesse per parlare, di solito era molto bravo a sopportare i miei silenzi e le mie lune, ma era evidente che per lui quella serata fosse importante.

Mi odiavo per quello. Per il fatto che non riuscissi ad andare avanti. Avevo quella strana relazione con lui dove potevo scegliere ogni cosa: quando vederlo, quando raccontargli qualcosa di me, quando sparire. Logan non mi chiedeva mai più di quanto non fossi disposta a dargli, eppure quelle poche volte che provava a spingermi a fare un passo un po' più lungo, ecco che mi ritiravo nel mio guscio mettendo miglia di distanza tra di noi.

Non riuscivo a non essere egoista, a non proteggermi sempre, anche quando dall'altra parte sapevo che ci fosse qualcuno che non mi aveva mai fatto del male. Non ci riuscii neppure in quel momento. «Non succede nulla» ribadii secca. «Succede che tu stasera hai deciso di tormentarmi».

«È una cena, Claire!». Lo sentii seguirmi, mentre circumnavigavo il letto per recuperare il telefono nella borsa. Dovevo costruirmi una via di fuga. «È solo una cena con i miei compagni del college».

«È una cena con i tuoi compagni del college e le loro ragazze» precisai. Scrissi velocemente un messaggio e poi riposi il cellulare, tornando a guardare Logan. L'apprensione sul suo viso fu come un pugno nello stomaco. Aveva lo sguardo triste, rassegnato, e le pieghe accanto agli occhi sembravano appesantire il suo intero volto. Lo facevo soffrire. Lo facevo sempre soffrire, ma, diamine, la colpa era anche sua: sapeva che non avevamo quel tipo di rapporto. L'aveva sempre saputo. «Lo sai che non sono a mio agio in queste situazioni» aggiunsi più dolce.

Credevo che avrebbe capito, che Logan avrebbe apprezzato il mio sforzo di aprirmi. Le mie parole, però, ebbero solo il potere di farlo arrabbiare ancora di più. «E con cosa sei a tuo agio, eh Claire?». Sollevò le spalle fingendo indifferenza. «Con il rimanere chiusa qua dentro? Con il fatto di chiamare ogni volta che ti serve qualcosa, mentre io non posso mai avanzare nessuna richiesta con te?».

Mi irrigidii. «Lo hai sempre saputo» ripetei. «Hai sempre saputo che avevo bisogno di tempo».

«Tempo». Sbuffò divertito, anche se nel suo tono non c'era nulla di allegro. C'erano solo recriminazioni e pesi mal sopportati da chissà quanto. Si avvicinò, i suoi occhi erano due fessure taglienti. «Ti ho dato tutto il tempo che volevi, non trattarmi come uno stupido».

Inspirai, cercando di tenere a bada il nervosismo e anche il senso di colpa. Logan non mi stava dicendo nulla che non mi fossi ripetuta per mesi, ma era sempre stato lui a tranquillizzarmi, a dirmi che andava bene così. Perché me lo aveva detto, se non era la verità?

«È per lui, vero?».

Quella domanda mi bloccò sul posto. Non aveva neppure pronunciato il nome di Christian che la sua presenza, con tutto il bagaglio di dolore e di ricordi che cercavo di seppellire, si materializzò sul mio petto. «Sei ridicolo» gracchiai.

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