54 - Segreti (I)

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C H R I S T I A N


L'alcol mi ribolliva nello stomaco e quella sensazione acida e nauseabonda mi faceva venir voglia di fermarmi per vomitare tutta la merda che avevo ingerito nelle ultime ventiquattro ore.

«Muovi il culo, Case». Lo strillo del Coach Russel mi fece aumentare il passo, perché stavo uno schifo, vero, ma non per questo ero meno competitivo. «Mio nonno correva più veloce di te e ha perso una gamba durante il Vietnam!».

Scossi la testa, ma evitai di replicare. C'era una sola persona che mi odiava più della mia famiglia e quella persona era il Coach della Churchill Academy. Non sapevo neppure perché lo avessi chiamato quel pomeriggio, ma avevo bisogno di rimettermi in sesto e, anche se era un vecchio rancoroso, Russel era il migliore.

«Tre giri e poi puoi tornare a casa correndo!».

Non replicai perché nel football vigeva un'unica regola: il Coach aveva sempre ragione, anche se a dire la verità non mi sarei mai aspettato una cosa del genere quando aveva risposto alla mia chiamata. Russel mi aveva chiesto di raggiungerlo al campo a piedi e adesso mi sarei dovuto fare altre due miglia per tornare alla casa di mio padre. Dio, era stata davvero una scelta di merda. Probabilmente la mia era un'autopunizione per la sera precedente.

Avevo bevuto. Tanto. Il sentore della vodka mi perseguitava da quando avevo aperto gli occhi e mi ero ritrovato sdraiato di traverso sul mio vecchio letto. Mettere insieme il resto dei dettagli era stato più facile ma non meno doloroso.

Avevo detto a Claire di volerla baciare.

Soffocai un gemito, iniziando a correre più forte. Mi sembrava di non fare altro, di cercare continuamente di andare più veloce per non lasciare che il suo profumo e il suo viso imbronciato mi raggiungessero.

Eravamo stati bravi per un po'. Come se ci fossimo messi d'accordo, avevamo tracciato dei confini: lei non veniva a vedere le partite di Logan, io finivo prima con Alison per non doverla incrociare. A parte qualche compleanno di amici in comune, avevo passato l'ultimo anno a fingere che non esistesse, ed era l'unico modo che conoscevo per evitare d'impazzire, perché non potevo credere che alla fine fosse diventata sua. No, il mio cervello si rifiutava anche solo di pensarlo. 

Adesso, però, ignorarla era diventato difficile, perché continuavo a ritrovarmela ovunque: in clinica, da Roby's, nella casa dei miei.

Nel mio letto.

Strinsi la mascella e spinsi con più decisione i piedi sull'asfalto.

Era tutto una stronzata.

Per quanto la detestassi, l'avrei baciata anche in quel momento ed era inammissibile, perché per me Claire Cooper era intoccabile. Lo era diventata nel momento stesso in cui aveva messo piede su quell'aereo che l'avrebbe portata a New York. E così doveva restare.

«Un ultimo scatto, Case!».

La voce del coach Russel mi rimbombò nel cranio, facendomi concentrare di nuovo. Tesi il petto e incamerai un'ultima boccata d'ossigeno. Mi piaceva la sensazione di controllo che avevo sul mio corpo quando lo portavo al limite. I muscoli che bruciavano, il respiro che si accorciava, i battiti che dovevano restare bassi... Erano tutte sensazioni conosciute. Sensazioni che mi permettevano di mettere tutte le altre in secondo piano.

Quando i miei piedi superarono la linea delle dieci yard, il fischietto del coach mi lacerò i timpani. «Sette minuti e cinquantadue. Non male ragazzo». Mi diede una pacca così forte sulla spalla che rischiai di finire a terra. «Non male».

Gli feci cenno di sì, mentre mi piegavo sulle ginocchia per riprendere fiato. Sapevo di essere in una buona condizione fisica, mi stavo allenando duramente per mantenere il mio posto a Boston, ma erano comunque settimane che non mi sentivo al meglio.

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