26 - Infiltrata (II)

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Vergine
"L'attrazione è l'equilibrio dei coraggiosi"


Chiusi la porta di camera mia cercando di non farla sbattere, anche se ero un ricettacolo di frustrazione e irritabilità. Erano le due di notte e, se avessi svegliato mia madre nonostante i sonniferi, sarei finita in punizione fino alle vacanze estive.

Non riuscivo a calmarmi, però.

Abbassai gli occhi sulle mie mani, che tremavano ancora leggermente a causa dell'incontro con Christian. Avevo lasciato la casa di Madison praticamente correndo, ma sembrava che neppure con quello sforzo fisico fossi riuscita a liberare la tensione compressa dentro di me.

Avevo cercato una qualsiasi scusa. Mi ero raccontata che era stata solo l'adrenalina o la paura di essere scoperti a farmi finire di nuovo tra le braccia di Christian. Sì, beh, dare la colpa alla mia impulsività mi sembrava conveniente, ma anche piuttosto stupido.

Sospirai pesantemente. Sapevo benissimo che non erano state né l'adrenalina né la paura a farmi finire avvinghiata a lui. Certo, erano state entrambe un accelerante potentissimo, ma se non avessi voluto baciarlo semplicemente non lo avrei fatto.

Un movimento alle mie spalle mi fece sobbalzare. Dovevo essere riuscita nell'incredibile impresa di svegliare mia madre, perché la maniglia della mia porta si era appena abbassata. Ero già pronta a sciorinare tutta la mia lunga lista di scuse, quando le parole mi morirono in gola. Deglutii a vuoto. «Cosa ci fai tu qui?».

Imbottigliato nel suo metro e novanta di sconfinata arroganza, Christian richiuse la porta alle sue spalle come se fosse stato inviato ad entrare, e ci si appoggiò sopra incrociando le caviglie. «Mi mancava camera tua, secchiona» disse, guardandosi attorno.

Lo osservai per un istante, ancora fasciato nella sua felpa nera così in contrasto con i riccioli biondi e l'espressione pensierosa. «Come sei entrato?» ritentai.

I suoi occhi tornarono su di me e un sorrisetto contrasse le sue labbra. «Ti sei già dimenticata che ti ho riportata a casa quando eri ubriaca?». Vidi le sue labbra fremere. «Non dovresti lasciare le chiavi nel vaso di fiori».

Già, non avrei dovuto. E non avrei neppure dovuto nascere nella sua stessa via. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente. Non ero pronta per un altro round con lui, no, non ne avevo le forze. «Cosa vuoi, Christian?».

«Cosa voglio?» ripeté divertito. Lo sentii staccarsi dalla porta per avvicinarsi a me. «Dovresti saperlo, Cooper».

Scossi la testa e riaprii gli occhi. «Davvero, niente giochetti». Niente scontri, niente lotte tra di noi. Ero troppo esausta per assecondarlo. «Dimmi solo perché mi hai seguita fino a qui».

Christian si fermò di fronte a me con aria pensierosa. Sembrava sempre troppo grande, troppo serio per la mia stanza rosa piena di libri e peluche colorati. Ne afferrò uno dalla cassettiera, un'enorme coccinella fucsia chiaramente OGM viste le sue dimensioni, e la girò tra le mani. «Sono qui» riprese, tornando a concentrare la sua attenzione su di me, «perché non lascio le cose a metà, Claire».

Non sapevo se il problema fosse stato il suo tono caldo e avvolgente come il caramello, o lo sguardo così diverso, secco e sfrontato, mentre scivolava dal mio viso alle gambe nude. No, non ne ero sicura, ma sapevo solo che alle sue parole lo stomaco mi si era contratto in una morsa piuttosto piacevole. «C-cosa significa?».

L'ombra di un sorriso comparve sulle sue labbra. Oh, aveva notato eccome la mia reazione. Raddrizzai la schiena e cercai di mostrarmi più decisa, ma mi sentii un'idiota un istante dopo. Come non potevo mentire a me stessa, non potevo neppure cancellare dalla sua memoria quello che era successo nell'ultima ora.

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