62 - Passato (II)

1.1K 92 90
                                    




C H R I S T I A N





«Cosa ne pensi di questo?».

Un imponente quadro raffigurante un leone che sbranava una preda mi si parò di fronte.

Alzai gli occhi dal telefono. «Raccapricciante» buttai lì, senza troppo interesse.

Sentii mia sorella sbuffare e, anche se era ancora voltata a pescare qualche disegno orribile dal portfolio appoggiato sulla sua scrivania, sapevo che si stava sforzando molto per non mandarmi a quel paese.

«Questo, invece?». Estrasse il dipinto di un faro con un mare in tempesta ai suoi piedi.

Inarcai un sopracciglio. Le pennellate non erano male, ma seriamente? Un faro?

«Mi dà l'impressione di stare dentro un film degli anni cinquanta».

Il lungo sospiro che lasciò la sua bocca era la misura della sua sopportazione. «Sai di essere odioso, vero?» mi domandò, guardandomi di traverso.

Non sapevo cosa si aspettasse. Aveva scelto me per aiutarla a decretare un vincitore tra quell'ammasso di robaccia, e adesso fingeva di essere stupita se non mi andava a genio di essere lì. «Lo so, ma ti avevo detto di scegliere a caso» le ricordai.

«Non funziona così». Incrociò le braccia e picchiettò il piede a terra, esigente. Era per momenti come quello che ero fermamente convinto che mia sorella fosse ormai pronta a ritornare alla vita di tutti i giorni. Era testarda e sicura di sé, sembrava solo dimenticarlo una volta fuori da quella struttura. «Un anno mi aiuti tu, un anno mi aiuta Alex. È la regola».

«Non può aiutarti sempre Alex?». Tornai a guardare il cellulare e scrissi velocemente al coach che avrei tardato di qualche minuto prima di arrivare agli spogliatoi. Non era un problema, non ero mai arrivato tardi a una partita e ultimamente stavo passando più tempo sul campo che a lezione. «Lui fa il lavoro sporco, io penso a sorridere durante la premiazione» aggiunsi, inviando il messaggio. «Così siamo tutti contenti».

«Chris».

D'impulso, sollevai lo sguardo dal cellulare. Solo Alison e Claire mi chiamavano così, erano sempre state le uniche due alle quali avevo concesso di definire i limiti, una perché era la mia sorellina e avrei fatto di tutto per lei, l'altra perché probabilmente era l'unica ragazza al mondo che avessi mai amato. Anche se mi respingeva. Anche se mi aveva distrutto in modi che non poteva neppure immaginare.

Un debole sorriso cercò di alzarsi verso la sua guancia, fallendo. «Lo so che domani sarà dura per tutti» bisbigliò. «Ma dobbiamo farlo».

Solo in quel momento mi accorsi che Alison era più pallida del solito e che i capelli lisci erano tenuti in una coda bassa e trasandata.

Già, era dura per tutti, ma probabilmente lo era ancora di più per lei.

Inspirai una lunga boccata d'aria e misi via il cellulare. Dovevo smetterla di comportarmi da coglione. «Ricordami qual è il tema della gara di quest'anno» tentai.

Alison mi guardò storto. Giusto, me lo aveva ripetuto per tutta la settimana, ma non me n'era mai importato nulla di quelle trovate pubblicitarie inventate da nostro padre. «Un bel ricordo associato al mondo esterno». Fece una pausa. «Qualcosa che abbiano visto oltre questa clinica, insomma».

«E uno ha scelto un leone che sbrana una preda?». Mi sembrava assurdo.

La vidi rivolgermi lo stesso sguardo compassionevole che utilizzava quando riusciva a fregare me o Alex. «Non so se lo hai notato, Chris» iniziò con tono basso e grave, «ma qua metà della gente non sta proprio benissimo». Fece ruotare il dito all'altezza della tempia, mimando che fossero fuori di testa.

Stelle avverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora