67 - Confronto (I)

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Claire

«Stai bene? Vuoi che ti prenda qualcosa da mettere?».

Christian si fermò di fronte alla porta, controllando una seconda volta di aver richiuso la serratura con una doppia mandata. Il fatto che si preoccupasse così tanto per la mia incolumità fece scendere una goccia di paura lungo la mia spina dorsale.

«Sto bene» replicai con voce roca. Ciondolai, spostando il peso da un piede all'altro. Il calore del riscaldamento a pavimento stava già curando i miei muscoli tesi. «Grazie per avermi portata qua».

Boston era molto meglio di Danvers, o almeno mi sembrava che lo fosse in quel momento. Sentivo di dover mettere una manciata di miglia di distanza da quel posto, soprattutto sapendo che i miei genitori sarebbero stati al lago Cochituate ancora per due giorni, e che io sarei dovuta rimanere in quella casa da sola.

«Non dirlo mai più». Christian si avvicinò rapido, con quel suo modo di fare sicuro che non doveva mai chiedere. Si fermò a una spanna da me e mi convinse con un movimento agile a lasciare il cellulare che stavo stritolando tra le dita. Sapevo di averlo recuperato dal cruscotto della sua macchina ma, per il resto, il viaggio era stato un insieme confuso di frammenti senza tempo. Ricordavo i campi della I-99, l'ingresso nella città e il parcheggio sotterraneo dell'appartamento di Christian. Il resto era un enorme, gigantesco vuoto. «Non smetterò mai di chiederti scusa per quello che è successo oggi». Le sue dita tremarono, mentre appoggiava il mio cellulare sul bancone. «Dylan...». S'interruppe come se non sapesse neppure lui come continuare. Alla fine, prese solo un lungo sospiro. «Dylan non sarebbe mai dovuto arrivare a te» concluse asciutto.

Senza darmi la possibilità di ribattere, si voltò e andrò dritto verso i fornelli della cucina. Non uno sguardo, non una parola in più.

C'era stato un tempo in cui quel suo comportamento mi avrebbe fatta infuriare, o più probabilmente mi avrebbe ributtata nel mare di insicurezze che cullavano i miei giorni di scuola. Non ero più quella persona. Avevo perso tanti lati belli del mio carattere crescendo, ma forse avevo anche imparato a essere più sicura di me e a conoscerlo meglio.

Per quello mi limitai a sedere al bancone. Piantai i gomiti sulla lastra di granito, appoggiando il mento sulle mie mani.

E attesi.

Mi bastarono un paio di minuti per capire cosa stesse facendo Christian. Appoggiò una tazza fumante di fronte a me e ne tenne una per sé, prima di allontanarsi di nuovo a cercare qualcosa.

Annusai il fumo speziato che saliva in ondeggianti nuvole biancastre: profumava di camomilla, limone e una spezia che non riuscivo a riconoscere.

«Cardamomo» disse, tornando accanto a me. Si sedette trascinando il suo sgabello il più vicino possibile al mio, ma non era tornato a mani vuote: accanto alla sua tazza fumante, aveva appoggiato una bottiglia piena di un liquido trasparente. Rhum bianco, lessi poco dopo. Lo guardai male, voleva davvero bere dopo la sera precedente?

Christian, però, non stava neppure guardando la bottiglia. Era sulla mia tazza che si era concentrato: «È l'unica spezia che avevo in casa» riprese, indicando quell'intruglio chiaro. «Credo che sia un residuo di uno degli ultimi viaggi della ragazza di Alex».

Bevvi un sorso, il calore fece schioccare un brivido veloce sulla mia pelle. «L'hai conosciuta?».

Christian fece cenno di sì e un sorriso quasi dolce ma divertito si dipinse sul suo volto. «È una tosta, e mio fratello è completamente perso per lei».

Sorrisi anche io, ma pensare ad Alex non faceva altro che riportarmi all'argomento che entrambi stavamo evitando: le scommesse.

«Senti, so che starai aspettando delle spiegazioni...» iniziai. Ma non ebbi neppure il tempo di comporre quella frase nella mia testa, che Christian si era già mosso.

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