C H R I S T I A N
Il tragitto dal centro di Boston fino al mio appartamento non mi era mai sembrato così lungo.
Due miglia in cui avevo insultato ogni semaforo e ogni automobilista che avevo incrociato, perché nella mia testa continuava a ripetersi un solo scenario: non avrei trovato Claire, una volta rientrato.
Avevo pregato che non andasse così. Mentre sfrecciavo tra le vie buie della citta, macchiate dalle gocce di pioggia che cadevano incessanti, nella mia testa l'avevo implorata di restare, di aspettare almeno questa volta, ma in fondo la conoscevo: era orgogliosa fino al midollo e sapevo che me l'avrebbe fatta pagare. Forse me lo meritavo perché le avevo riversato addosso tutta la mia rabbia e poi me n'ero andato, ma lei era la prima a fare lo stesso.
Non avrebbe mai funzionato tra di noi, non se continuavamo a comportarci così. Ma probabilmente non importava neanche, perché nonostante le mie preghiere ero sicuro che avrei trovato l'appartamento vuoto.
Per quello fui così sorpreso di trovare una figura rannicchiata sul divano, al mio rientro.
Quando aprii la porta, impiegai una frazione di secondo prima d'individuarla. Aveva acceso la tv e se ne stava con le gambe incrociate a fissare lo schermo, mentre un calice vuoto era abbandonato sul tavolino di fronte a lei.
«Ciao» mormorai, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi ci appoggiai come se potessi sigillarla. O forse perché sentivo le gambe tremare dalle ondate di adrenalina. «Non credevo di trovarti ancora sveglia».
Non le dissi che non credevo di trovarla proprio. Non volevo che pensasse di aver sbagliato a restare. A dire la verità, non avevo mai voluto così tanto che restasse come in quel momento.
«Non pensavo che tornassi così presto» ribatté lei velenosa. Si allungò per prendere il telecomando, proprio mentre io facevo il giro del divano per avvicinarmi. «Sto andando a dormire tranquillo».
Mi morsicai la lingua per non risponderle a tono. Non potevo, perché in parte mi sentivo responsabile per quell'atteggiamento. Ero stato io ad averle insegnato a rispondere così. L'avevo sempre attaccata e lei aveva imparato a difendersi.
Inspirai, cercando di ignorare la mia natura. Uno di noi due doveva pur fare un passo indietro. «Vuoi ancora del vino?».
Claire mi guardò con sospetto. C'era sempre quel misto di dubbio e sfiducia nella sua espressione che mi faceva impazzire, perché avrei voluto prenderle il viso e spazzare via tutto con una sola parola. Invece il suo broncio rimaneva lì, sempre il solito, insieme a tutti quei capelli biondi sparpagliati scompostamente sulla maglietta.
La mia maglietta.
Mi accorsi che l'aveva tenuta solo quando fui accanto a lei. Le stava enorme e, per come ci eravamo lasciati qualche ora prima, credevo che l'avrei trovata ridotta a brandelli o in fiamme. Invece l'aveva tenuta.
«No, grazie». Fece una pausa, dondolando su sé stessa. «Stavo davvero andando a dormire».
Mi sedetti accanto a lei. «Perché invece non resti?».
Impiegò qualche secondo prima di rispondere. «Perché non voglio ricominciare a litigare, Christian».
Era la prima volta che pronunciava il mio nome. Avevo notato che non lo faceva quasi mai, soprattutto quando voleva sottolineare quanto fosse arrabbiata o grande. In quel momento, però, rannicchiata su sé stessa, mi sembrava solo piccola ed esausta.
«Nessun litigio, promesso». Mi lasciai cadere contro lo schienale per osservarla meglio. Claire, invece, non lo stava facendo. Si limitò ad alzare gli occhi al cielo, facendomi sorridere. «Che c'è?».
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Stelle avverse
ChickLitClaire ha tre certezze, piccole ma indissolubili: 1. Iniziare l'anno scolastico con Plutone contro è stata una stronzata 🪐 2. Christian Case è un maledetto Figlio del Demonio™ 3. Non c'è alcuna possibilità che collabori davvero con lui... No, nepp...