La montagna [4]

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Lo scorrere interminabile del tempo provò duramente la sventurata ragazza dispersa, che continuò a correre seguendo la strada, svoltando varie volte tra una curva e l'altra, finché la via non divenne sempre più stretta e gli alberi più numerosi.

"Sto sbagliando tutto", si arrese quando le sue gambe si rifiutarono di rispondere agli stimoli del cervello e i polmoni la obbligarono a piegarsi sulle ginocchia, quasi incapace di riprendere fiato. "Non so neanche da quanto tempo sto correndo. Il cielo è sempre più buio e il bosco più profondo."

In quel momento, quasi rischiando di cadere e di colpire il viso contro il terreno, si sostenne con un gomito e riuscì a estrarre il telefono dalla borsa a tracolla, con un sorriso.

"Serena... posso fare una telefonata a Serena e lei avviserà i professori", pianificò speranzosa.

Fece scorrere il pollice lungo lo schermo e riuscì a superare la schermata di blocco del cellulare. A quel punto, aprì la rubrica e cercò tra i numeri contattati di frequente. Il nome della sua migliore amica spiccò fra tutti gli altri, ma quando riuscì a spedire la chiamata, la notifica che apparve la sconcertò.

"Niente campo...", realizzò impaurita. Trattenendo un lamento rabbioso, ripose il cellulare in borsa e si rialzò con fatica. "Non c'è altro modo. Devo tornare indietro sui miei passi".

Anche questa idea si rivelò vana. Non appena si diresse sulla strada del ritorno si accorse, tremante, che la via era troppo buia e velata dagli altri alberi per essere riconosciuta. Sul punto di piangere, Joy strinse i pugni e si guardò attorno, impotente.

Anni prima, a scuola, gli insegnanti avevano ripetuto più volte quanto fosse facile orientarsi seguendo i punti cardinali, il sole o le stelle, ma la povera alunna non aveva né una bussola a disposizione, né il privilegio di poter scorgere chiaramente il cielo, essendo troppo immersa nel sottobosco per poter vedere qualsiasi cosa oltre le cespugliose fronde dei pioppi.

"Se solo avessi prestato più attenzione...", si biasimò nervosa e spaventata, avvicinandosi ad una grossa quercia e lasciandosi cadere contro una delle sue grandi radici. "Sono veramente una stupida!"

Il pugno della ragazza s'infranse contro la corteccia ma ciò le arrecò solo altro dolore e rabbia. Con le lacrime agli occhi si coprì il viso con entrambe le mani, accucciandosi su se stessa e singhiozzando scoraggiata, ponendosi ogni sorta di macabra domanda, credendo di poter andare persino incontro alla sua stessa morte.

La foresta era ricca di pericoli, primo fra i quali le belve selvagge e affamate, in grado di divorarla in un sol boccone, proprio come nelle fiabe. Ad impaurirla era, infatti, la consapevolezza di non trovarsi in un racconto di fantasia, ma nella vita reale e crudele che l'aveva condotta fin là. Per un solo momento pensò che il sogno che aveva vissuto lungo la strada verso la montagna si fosse incarnato in quella sfavorevole situazione, come si fosse trattato di una premonizione o persino di una profezia.

"No", si disse in silenzio, asciugandosi le lacrime che scorrevano copiose lungo le sue guance, "Qui è tutto diverso. Non mi sento al sicuro, né ho modo di rifugiarmi da qualcuno a me amico. Sono sola, atterrita e in balia dell'ignoto. Che ne sarà di me?"

Silenzio. Nessuno le rispose, né poté udirla.

Trascorse qualche altro minuto e, man mano che il sole perdeva il suo splendore, la pazienza di Jocelyn si esauriva.

"Basta!", decise quando non riuscì più a sopportare la pressione.

«Serena!!!», gridò a squarciagola. Un piccolo stormo di uccelli dal piumaggio scuro si levò in cielo, sollevandosi dalle chiome verdi con cinguettii confusi. «Serena! Aiuto!», ripeté ancora e ancora, finché la gola non cominciò a bruciarle.

Ben presto sentì di non essere più in grado di urlare, quindi si sfogò con un calcio contro la radice sulla quale si era accomodata, prima di abbandonarsi nuovamente su di essa. Lanciò la testa all'indietro e lasciò che si appoggiasse al tronco della quercia, con il viso rivolto verso l'alto.

Qualcosa la insospettì. Vi era come una mancanza, un esagerato rilievo sotto la sua nuca che le fece temere di aver bloccato l'accesso alla tana di qualche scoiattolo. Subito prese le distanze dal tronco e, quando guardò in sua direzione, si sentì gelare il sangue nelle vene.

Gran parte della corteccia era stata tagliata via con forza in quattro profondi solchi, come sfilacciata da artigli affilati e molto, molto lunghi. La ragazza deglutì, pensando al peggio e arrivando a credere di trovarsi nei pressi della tana di un orso. In quella stagione, incontrarne uno nel mezzo del bosco non sarebbe risultato così impossibile, né improbabile. Maledicendo il momento in cui aveva accettato di unirsi alla classe in quella gita, che le era sembrata spassosa e meritata, si allontanò dalla quercia e osservò l'orario sul cellulare.

Era ormai pomeriggio inoltrato, l'ora di far ritorno al paese e di abbracciare i proprio genitori.

"Resisti!", s'impose. Da lì a poco tempo i professori avrebbero ripetuto l'appello, notando la sua assenza e avvertendo le autorità.

Come se non fosse abbastanza spaventata, un gufo le volò proprio sopra la testa prima di ripararsi nella sua tana in cima alla quercia. Jocelyn, che di certo non si aspettava l'apparizione di quell'essere, si ritrasse con urlo, quasi perdendo l'equilibrio. Dopo aver dondolato sulle gambe riuscendo a reggersi ancora in piedi, le sue orecchie captarono una voce ovattata, poco lontana.

«Ti avevo avvisato. Non valeva la pena seguirlo fin qua. Siamo fin troppo vicini alla civiltà, potremmo essere visti», si lamentò una donna annoiata, il cui tono riuscì a riaccendere un minimo di speranza nel cuore di Joy.

«Pensi che sia stato lui a fare quel rumore? Non riesco a credere che sia andato a caccia proprio qui», le rispose qualcuno. Un uomo adulto, senza dubbi.

Dopo qualche secondo di silenzio, la donna dalla voce aggraziata riprese a parlare. «In effetti... era un grido. Dovremmo indagare?».

Jocelyn non trattenne un ampio sorriso che riuscì a riportare un minimo di colorito sul suo viso pallido. Prontamente, mosse qualche passo avanti e alzò la voce. «Aiuto! Aiuto, per favore! Sono qui!», urlò, pregando si trattasse di gente rispettabile. «Ehy, mi sentite?!?», gridò ancora, finalmente felice. "Sono salva! Tornerò a casa!", s'illuse ingenuamente. Purtroppo però la sua gioia venne strappata nel momento in cui un secondo suono catturò la sua attenzione. Un cupo ringhio gutturale emerse dalla boscaglia proprio alle spalle di Joy, famelico e territoriale. Il macabro brontolio riecheggiò nella foresta come il boato minaccioso di un tuono in lontananza.

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