Il trono [4]

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«Sei ostinata come un vecchio mulo, mia cara Beta», la rimbeccò un membro più anziano del Branco, seppur ancora adulto, massaggiandosi poi i baffetti brizzolati mentre rifletteva. «Sono anch'io dell'idea che dovremmo far leva sulla notizia e obbligare l'Alpha, se necessario, ad agire più in fretta. Inoltre la notizia deve essere diffusa all'interno del Branco e del popolo più debole. Tutti dovrebbero essere pronti alla battaglia, se servisse», consigliò basandosi sull'esperienza. Le sue braccia e le sue gambe, almeno nelle parti non coperte dai vestiti, erano segnate da cicatrici che un tempo erano state profonde ferite aperte. Segni di artigli e di morsi. Doveva per forza essere un sopravvissuto.

Frida si accigliò al suo insulto, ma mantenne la calma. «Esiste la possibilità che siano nomadi e stiano tentando di ottenere scorte per l'imminente autunno. Se così fosse, verrebbero definiti pacifici. Ecco perché la questione deve restare segreta e noi dobbiamo attendere».

«Pacifici?!?», tuonò il primo degli uomini che aveva parlato. «Per Fenis, Beta! Ti senti quando parli?», mormorò facendo uno scatto avanti. I suoi compagni si occuparono di trattenerlo per le braccia e strattonarlo, quando le guardie di Frida le si pararono davanti e sfoderarono delle daghe dai loro foderi appesi alle cinture.

La Beta dai capelli rossi assottigliò lo sguardo. «Usa di nuovo quel tono con me e ti mozzerò la lingua con le mie stesse mani», lo minacciò.

«Fallo, se ci tieni», gridò di nuovo lui, infuriato. «Io perderò la mia lingua, ma migliaia di innocenti ci rimetteranno qualcosa di molto peggio. Le loro vite!», gridò sul punto di tramutarsi. «Ecco cosa desiderate voi vipere che consigliate l'Alpha. Morte! Morte! Solo e soltanto morte!», delirò poi.

Il suo viso e le sue parole intimorirono Joy al punto da terrorizzarla. Perse l'equilibrio e cadde a terra, coprendosi la bocca per soffocare un grido. Strisciò sui gomiti e poi sui palmi delle mani. Si girò e camminò gattonando per allontanarsi da loro il più in fretta possibile. Realizzò di avere paura della morte nello stesso modo in cui un infante ha la fobia di separarsi dalla propria madre. Voleva tornare a casa e dimenticare tutta quella situazione, mandare al diavolo i licantropi e i vampiri e tornare alla sua vita di sempre. Avrebbe domato i suoi istinti e rinunciato alla belva che oramai si celava in lei. Non aveva interesse nel diventare una guerriera, una cacciatrice o una maga. Avrebbe ripreso gli studi, ottenuto il diploma e poi la laurea e infine sarebbe diventata una scrittrice, come aveva sempre sognato. Rifletté sulle sue possibilità di fuggire dal Branco, dimenticandosi delle lezioni e della sua amicizia appena sbocciata con Jason. Non riflesse affatto lucidamente e, quando finalmente fu abbastanza lontana dalla Beta e dai soldati Lunapiena che probabilmente erano troppo occupati in una rissa per badare a lei, tornò in piedi e corse il più in fretta possibile, raggiungendo l'arco d'entrata del villaggio, a quell'ora deserto, e superandolo mentre le lacrime sfrecciavano sulle sue guance e poi volavano via al di sotto delle orecchie, fra i suoi capelli e nell'erba del terreno che man mano si lasciava alle spalle. Non si accorse neppure dei chiari occhi celesti che, dall'alto del ramo di un albero vicino, la scrutavano con attenzione e seguivano i suoi movimenti.

Corse finché non ebbe l'impressione che i polmoni le stessero scoppiando, dopodiché si lanciò sull'erba finendo a gattoni, respirando con la bocca e gli occhi spalancati e inarcando la schiena nel disperato tentativo di riprendere fiato. Non si accorse dei suoi occhi ambrati che, pian piano, assunsero un bagliore dorato e parvero brillare di luce propria, trasformandosi e andando ad assomigliare a quelli di un lupo. Strinse interi ciuffi d'erba con le mani con una tale forza da far schioccare nervosamente le nocche e mettere in risalto le vene degli arti, che si gonfiarono notevolmente. Tutto il suo corpo, in breve, s'ingrandì e cambiò letteralmente forma. Jocelyn comprese cosa stava accadendo, ma questa volta lasciò che l'istinto s'impossessasse di lei e percorresse il suo flusso. La trasformazione non fu immediata né indolore. Lo spostamento delle ossa e la crescita della pelliccia la portò a emettere macabri versi e lamenti e dalla sua schiena, una volta scomparsa la divisa incantata, grondò qualche doccia di sangue. Le parve di sentire una densa schiuma in bocca a causa della rabbia e della paura che aveva innescato la sua reazione. Era totalmente fuori di sé ma l'altra parte di Jocelyn, la lupa bruna, parve calmarla. Quando i grugniti e i ringhi cessarono, si rimise in piedi, o meglio, sulle quattro zampe. Si guardò attorno e comprese che i suoi sensi si erano totalmente amplificati. I suoi occhi scorgevano dettagli fino a pochi secondi prima invisibili, il suo udito riuscì a catturare lo sbattere d'ali di un passero che le sfrecciò audacemente sopra la testa e il suo naso registrò l'odore del sangue caldo e il profumo squisito di prede nelle vicinanze. Ma non c'era tempo per questo. Represse ogni tentazione, ricordando a se stessa di possedere un lato ancora umano, seppur sepolto negli abissi nella sua anima. Era Jocelyn Sunrise, studentessa promettente, amica sincera, figlia e sorella maggiore. Non una lupa qualsiasi, incapace di resistere all'impulso della caccia o al desiderio di ricongiungersi al suo Branco. Se lo ripeté per un numero di volte di sicuro molto vicino all'infinito, dopodiché scavò con le zampe nel terreno e partì in una corsa disperata verso casa, sollevando polvere, terra ed erba secca, attraversando macchie alberate e piccole praterie. Sicura di poter trovare, più tardi, un modo per tornare umana, magari una volta per tutte, non si preoccupò di prestare attenzione a ciò che la circondava e perciò non sfruttò i suoi sensi, non finché il pericolo non fu abbastanza vicino da costringerla a preoccuparsi.

«Ne ho trovata una», mormorò una voce femminile. In condizioni normali, Joy avrebbe considerato il suo timbro come dolce e melodioso, ma in quel momento il suo tono risuonò come minaccioso e gracchiante alle sue orecchie. Il suo lupo interiore le stava gridando di non fidarsi dell'ignoto, di girare i tacchi e correre via a perdifiato, nella direzione opposta a quella da lei desiderata. Fu per questo che mise a tacere il suo buonsenso. L'orgoglio e l'ostinatezza la costrinsero a non mollare la sua missione e a dimostrarsi perseverante nel suo obiettivo.

Un uomo le piombò davanti. Era esageratamente alto, con braccia lunghe e sottili, vestito di una giacca nera dai lembi che gli sfioravano le ginocchia e un colletto a barca che gli nascondeva il viso dal naso in giù. Aveva una pelle decisamente pallida, una cintura di cuoio borchiata e pesanti stivali di pelle che, a quanto pare, non interferivano affatto con la sua agilità. «Sei tutta sola, qui nel bosco? La mamma non ti ha detto che potrebbe essere pericoloso?», domandò sollevando le sopracciglia e lasciando intendere che avesse appena sorriso. Joy inchiodò le zampe a terra e ammortizzò su di esse la sua velocità. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata, indecisa se fidarsi dello sconosciuto per tornare a casa, come le imponeva la parte umana, o tentare di sfuggire senza neppure attaccarlo, come invece suggeriva quella ferale. Come risultato, questa volta incapace di decidere, non mosse un muscolo. Superava di almeno mezza testa l'uomo in altezza ma solo il suo sguardo, due iridi cremisi celate in parte dal ciuffo di capelli neri e lisci, bastò a terrorizzarla.

«Non parlarle così...», mormorò una seconda persona, di sicuro la donna che aveva commentato il suo arrivo poco prima. Jocelyn puntò subito su di lei il suo sguardo, senza neppure accorgersi di averle lasciato il tempo di avvicinarsi e accarezzare il suo soffice manto color nocciola in prossimità della collottola. Spiccò un pesante e bizzarro balzo indietro, nel tentativo di aumentare le distanze da lei e dal suo compagno. Riconobbe i suoi capelli rossi e la sua pelle lattea come caratteristiche della donna che aveva incontrato il giorno della sua aggressione, nel momento in cui Arcan l'aveva trascinata via tra i rovi e gli arbusti. Anche lei era molto alta e i suoi occhi erano circondati da profondi aloni neri che risaltavano sulla sua carnagione tanto chiara. A quel punto l'estranea sorrise e poggiò le mani sui fianchi. «...finirai per spaventarla e rovinare la cena», aggiunse quindi, completando la sua frase. La sua dentatura perfetta e bianca era interrotta da alcuni dettagli che fecero accapponare la pelle alla giovane recluta lycan. Denti appuntiti, evoluti allo scopo di cacciare e perforare la gola delle proprie vittime. Erano canini da vampiro.

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