Lo scontro [3]

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Intanto, sulle cime più alte della montagna, la foresta era occupata da una leggera nebbiolina che si disperdeva lentamente quasi come fosse fumo. Non soffiava un filo di vento, mentre il freddo era abbastanza percepibile e le foglie o l'erba si muovevano di tanto in tanto, sospinte da qualche lepre che vi passava sotto, balzando sulle sue piccole zampette.

Due occhi ambrati scrutavano attentamente il paesaggio, da dietro qualche filo d'erba sottile ed alto. La lepre non sfuggì alla sua occhiata. Il grande lupo dal pelo bruno e rossiccio fiutò l'aria, iniziando a spostarsi in avanti. L'animaletto grigio e screziato di bianco si abbeverava ad una pozza limpida e scintillante, senza dubitare della presenza del forte cacciatore alle sue spalle. Il lupo si leccò gli angoli della bocca, pronto ad assaporare la tenera carne della preda, mosse una zampa verso avanti, poi l'altra e continuò così, mantenendosi basso e invisibile. Solo quando sfiorò un ramoscello al suolo, il leprotto alzò le orecchie. Il lupo, o meglio, il lycan, si acquattò di nuovo, appoggiando lo stomaco al terreno e abbassando le orecchie. Con tre salti sarebbe di sicuro arrivato alla sua destinazione, ma preferiva attendere e rendere le cose più sicure. Quando la lepre parve calmarsi, riprese ad avanzare, sicuro di se stesso e pronto all'azione. Purtroppo, preso dall'istinto selvaggio della caccia, gli sfuggì un ringhio impaziente appena percettibile, ma che bastò a mettere in allerta il piccolo animaletto. All'istante la preda iniziò a fuggire verso la boscaglia. Ma mai fu più pronto l'enorme predatore dagli artigli bianchi e le zanne che bramavano carne: iniziò a rincorrere la lepre con la velocità di un ghepardo mista alla grazia di una gazzella. Tanto era magro il lupo, che riusciva perfettamente a schivare rocce ed alberi senza nemmeno sfiorarli con un pelo del manto castano. La lepre di sicuro non era una gran pasto, ma evidentemente il lycan non mangiava da giorni e finalmente aveva trovato l'opportunità. La lepre continuò a saltare a destra e a sinistra, a infilarsi sotto i tronchi caduti e a battere con le zampe felpate sul terreno, temendo la morte. Ma il lupo era fin troppo veloce per lei e raggiunto un fiume, che si prolungava verso ovest per poi finire in una cascata abbastanza alta, la lepre si ritrovò bloccata. L'unica via di salvezza era la riva opposta, che avrebbe potuto raggiungere solo saltando sui massi. Il predatore non poteva reggersi su essi: erano troppo piccoli e scivolosi, avrebbe finito per cadere in acqua e la corrente l'avrebbe spinto fino alla cascata, che gli avrebbe tolto la vita in breve. La lepre, dopo aver fatto i suoi calcoli, saltò. Vedeva già dall'altro lato del fiume la vita, ma proprio mentre si trovava a mezz'aria, le possenti fauci del lupo, spuntato da chissà dove, si chiusero sul suo stomaco, dilaniandolo. L'animaletto, con un grido straziante, morì. Piccole chiazze di sangue schizzarono in acqua, dissolvendosi celermente nella corrente, e sull'erba. Allora il cacciatore iniziò a mangiare, affamato come non mai, contento di riempirsi gola e stomaco.

Alla fine del pasto si leccò i baffi e tornò nel fitto della boscaglia. Si stese vicino ad un laghetto, dove un solo raggio di sole illuminava il luogo in cui avrebbe schiacciato un pisolino e chiuse gli occhi, iniziando a ronfare. Solo pochi minuti dopo, però, si alzò. Aveva sentito un rumore strano, diverso dagli altri e che non ricordava più. Si guardò intorno, confuso da tutto ciò. Ringhiò sottovoce e si accucciò di nuovo. Forse aveva solo sognato quel rumore così curioso. Ma poi il suono si risentì e il lupo, infuriato, saltò in piedi iniziando a girovagare intorno al laghetto per ispezionare la zona.

Non trovando nulla, tornò sotto il raggio di sole e aspettò. Il rumore di erba scossa e di passi regolari si fece più vicino. Il lycan tenne pronte la zanne, fissando un punto del bosco, da cui riteneva provenisse il suono. E, ad un tratto, ecco spuntare da lì un giovane ragazzo. Biondo, alto, dagli occhi meravigliosi e intensi, di un colore verde chiaro. Il fisico abbastanza scolpito e un'espressione di paura in viso. Gli zigomi erano coperti di lividi e le sue vesti erano sporche e malconce.

Il ragazzo guardò le zampe della creatura e deglutì. Il lupo scattò subito contro di lui, lo gettò a terra e fece per morderlo ma il ragazzo, spaventato, creò uno strano campo di forza che spedì lontano la bestia. Essa non ne fu felice, e si preparò a tornare all'attacco.

«Aspetta!», implorò il ragazzo. «J-Jocelyn...», la chiamò, abbassando la voce.

Il lycan si sentì girare la testa. Quel nome, quel ragazzo. Adesso ricordava tutto. Pian piano, si avvicinò a lui. E ancora più lentamente si trasformò in un'umana. Aveva quasi dimenticato come si facesse.

«Jaaa-son...», chiamò quindi lei, quasi senza voce, strisciando verso il biondo.

«Jocelyn», sorrise il ragazzo. Si gettò a terra per aiutarla. Le posò una mano dietro la nuca, mentre con l'altra la teneva sollevata da un fianco. J iniziò a piangere come un bambino. «Joy.. mi sei mancata così tanto... siamo in pericolo, dobbiamo andarcene», singhiozzò lui, appoggiando la sua fronte a quella di Jocelyn.

«Co-Cosa ci fai qui?», si sforzò ancora di parlare la ragazza. Non era più abituata al suo corpo umano, al parlare o al camminare su due gambe.

Lui le fece segno di stare in silenzio. «Non sforzarti troppo. Devi recuperare le tue energie», le disse e la aiutò a rimettersi in piedi.

La ragazza ci provò ma, non appena fu in piedi e provò a fare un passo, cadde di nuovo a terra, stremata. Jason la aiutò subito e la sollevò, prendendola tra le braccia.

«Tranquilla, adesso sono qui. Ci penso io a te», mormorò ed iniziò a incamminarsi verso una meta sconosciuta. Joy, confortata e al sicuro, mormorò un "grazie" che non giunse alle orecchie del biondo e subito dopo si addormentò, debole e sconfitta.

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