Lo scontro [4]

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Jocelyn sbatté più volte le palpebre, storcendo il naso a causa dell'odore di umido presente nell'aria. Quando riuscì ad aprire completamente gli occhi, qualche minuto dopo, si guardò intorno disorientata. Sentì una fitta dolorosa alle gambe e le guardò. Indossava la divisa nera ed amaranto che le era stata donata al suo arrivo nel campo del Branco Lunapiena, stracciata e lacerata. La pelle sotto di essa era sporca e non emanava un buon odore. Molte cicatrici nere le ricoprivano le braccia e le caviglie, mentre i capelli erano unti e tra di essi si trovavano cumuletti di polvere e piccoli sassolini che le irritavano il cranio in una maniera insopportabile. Inoltre, osservando l'ambiente circostante, notò che si trovava in una casa un po' decadente, costituita da qualche asse di legno marcio e altre in condizioni abbastanza buone. Le fessure nelle pareti lasciavano entrare fili di foglie e piante rampicanti che giungevano fino al soffitto, dello stesso materiale di cui erano fatte le pareti ed il pavimento. Joy non riconosceva quel posto e il dolore alla nuca che si propagava anche nel resto del corpo non le era molto d'aiuto.

Ad un tratto, ecco un rumore di passi arrivare da una presunta stanza accanto. Jocelyn raccolse le sue forze e saltò giù dal morbido giaciglio sul quale aveva riposato, nascondendosi sotto di esso. Degli stivali neri comparvero accanto alla porta. Dalla loro grandezza e forma si poteva dedurre che la figura umana fosse un maschio, di chi si trattasse restava però un mistero. L'uomo si fermò un secondo. Poi iniziò a girovagare per la stanza, accanto al letto, iniziando ad avere un passo più ansioso e veloce. Quindi, dopo vari secondi, si fermò, spaventato.

«Jocelyn?!?», urlò angosciato il giovane. La ragazza, subito, riconobbe la voce. Sgusciò fuori dal letto e guardò i due occhi verde smeraldo che si ritrovò davanti, dall'altra parte del materasso. Saltò sul letto con un solo balzo, lo scavalcò e si gettò addosso al ragazzo, aggrappandosi al suo collo in un goffo ma tenero abbraccio.

«Jason!», gridò la mora mentre lui cercava di tenersi in piedi. Gli cinse i fianchi con le gambe e affondò il viso nell'incavo del suo collo, come a non volerlo mai più lasciarlo andare.

Il biondo, prima spaventato, si riprese e strinse la ragazza a sua volta, togliendole il respiro a causa della stretta potente. «Mio Dio, Jocelyn, temevo che non ti saresti più risvegliata!», disse il giovane, finalmente allontanandola da lui per poggiarla delicatamente sul letto davanti a sé.

«Che... che intendi dire? Quanto ho dormito?», chiese stupita la ragazza, guardandolo dritto in faccia.

Lui deglutì. «Circa tre giorni. Immagino tu abbia fame», sorrise poi, tranquillizzandosi.
La ragazza invece rimase a bocca aperta, ma non fiatò. Jason, quindi, le prese la mano e la aiutò ad alzarsi, nonostante Joy fosse ormai in grado di camminare, cercando di ignorare i dolori. La portò nella stanza allestita a cucina e le diede acqua e cibo da mangiare, offrendole ottime bacche dolci appena raccolte dal bosco.

«Come hai fatto a trovarmi?», chiese ad un tratto Jocelyn, posando le mani sul tavolo ligneo e giallo.

Vedere tutte e dieci le dita umane muoversi al suo comando le fece girare la testa per qualche secondo. Non era più abituata a quel corpo.

J si sedette dinnanzi a lei, osservando i capelli arricciolati dell'amica. «Io non ti ho trovata. Sei stata tu a trovare me, a dir la verità. Incontrarti dev'essere stato un miracolo», disse senza esprimere nessuna emozione. «Vedi... ci sono delle cose che dovrei raccontarti». La sua espressione si fece più seria, e fredda.

Joy rabbrividì, mentre un debole ed orrido presentimento le nasceva nell'animo. «Aspetta», lo fermò continuando a masticare e deglutire i frutti. «Il Branco ti ha lasciato andare senza problemi? Sei stato esiliato? Oppure siamo all'interno del villaggio? Che posto è questo? Se mi vedranno qui con te ci uccideranno entrambi ed io-», domandò stringendo gli occhi.

«Jocelyn!», la richiamò lui sospirando. Non ebbe il coraggio di ricambiare il suo sguardo. «È di questo che devo parlarti». La sua voce era spezzata dall'astio, misto ad un'interminabile tristezza.

Joy respirò talmente a fondo da dilatare le narici. «J... non dirmi che...»

«Non esiste più nessun Branco», annuì Jason. «Otto giorni fa i draculiani ci hanno invasi. Hanno distrutto ogni cosa, ucciso molti lycan, fatto prigionieri quelli che non sono riusciti a scappare», mormorò a bassa voce il biondo, senza staccare gli occhi dai suoi pugni inchiodati al tavolo e stretti a causa della forte emozione.

Jocelyn quasi cadde dalla sedia. La bacca che teneva tra l'indice e il pollice esplose, sprizzando il suo succo sulla superficie liscia del ripiano. «Dream, Aireen... tutti gli altri», iniziò a disperarsi la ragazza.

«Non lo so», la bloccò Jason, «Non le ho viste dal momento in cui sono stato attaccato. Ma molti altri, la maggior parte dei Lunapiena... ecco...», provò a spiegare. Prima che Joy potesse ribattere, lui portò una mano alla tasca, estraendone qualcosa e avvicinò il braccio a quello di Jocelyn. «Sono riuscito a scappare solo grazie a persone dall'animo nobile, che hanno lottato anche al posto mio». Chiuse gli occhi e aprì la mano. Sul palmo, ecco che la ragazza vide una collana molto familiare, anzi, un amuleto. Era quello che entrambi avevano usato per liberare Serena. Purtroppo, non possedeva più alcun potere magico poiché spezzato, frantumato in due parti e ormai grigio e opaco. Jocelyn si portò la mano al viso, coprendosi le labbra dischiuse, addolorata.

«Ezra?», chiese nonostante conoscesse già la risposta. J, suo malgrado, annuì. «Jason, che possiamo fare? Tu sei un mago forte e preparato, io sono l'Anima di Lupo, ma ciò non basterà a riprenderci la nostra gente e la nostra casa», singhiozzò la giovane ragazza, rimpiangendo il giorno in cui aveva accettato di partecipare a quella stupida gita in montagna.

Solo a quel punto, il coraggioso Jason sorrise. «Hai ragione, ma non siamo solo noi due». Il suo colorito si fece meno pallido, si alzò dal tavolo e fece segno all'amica di seguirlo. Lui si avvicinò alla porta e sull'orlo di essa indicò una via servendosi dell'indice della mano destra. «Segui il sentiero. L'ho creato io con le mie stesse zanne. Ti condurrà ad un ruscello limpido e caldo. Hai davvero bisogno di un bagno», rise scherzoso, anche se dopotutto l'aspetto di Joy non era dei migliori. Poi si abbassò, aprì un cassettone alla sua sinistra e ne estrasse una tuta incantata, la stessa divisa che le reclute indossavano al campo. Sicuramente il ragazzo l'aveva recuperata tornando al villaggio nei giorni seguenti alla sua distruzione. Jocelyn provò una forte sensazione di relax quando puntò gli occhi sui colori nero ed amaranto e quando toccò con le sue mani il materiale di cui essa era costituita. Si sentì finalmente a casa, in pace con se stessa.

«Sarò veloce», promise con serietà e si chinò per trasformarsi.

Il biondo la fermò, tirandole la spalla. «Ehm, Joy... non credo sia saggio per ora. Sei rimasta tramutata per più di un mese e questo ti ha portato a diventare selvaggia come un vero lupo. Non sei attualmente in grado di controllarti e potresti essere...», le spiegò con gentilezza, per poi fermarsi, evitando di sembrare offensivo nei suoi confronti.

«Pericolosa», Jocelyn sbuffò, vogliosa di risentire il terreno sotto le zampe e il vento tra i peli del manto bruno e rossiccio. Si limitò ad annuire e iniziò a correre, come poteva, verso il ruscello.

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