Capitolo 74

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La sveglia suonò puntuale anche quando ormai gli esami erano terminati.
Mi alzai di scatto, proprio come tutte le mattine, e lanciai due cuscini in direzione delle mie due coinquiline.

"Sveglia" biascicai solo.
Anche se morivo dalla felicità di tornare a casa, ero di cattivo umore.
Un cattivo umore che veniva da dentro e che sembrava non volermi dare tregua.

La notte insonne poi, non aveva fatto altro che mandare in tilt il poco di ragione che mi era rimasta in testa.

Sbuffai infastidita anche dalle coperte troppo calde, che fasciavano le mie gambe quasi a volermi soffocare, e le lanciai via, ai piedi del letto.

Mi sembrava essere tornata a qualche settimana prima.
Solo che all'inizio erano intuizioni.
In quel momento invece, solo amare conferme.

Grugnii qualcosa di incomprensibile maledicendo il mal di testa lancinate che avevo, ed un rumore secco rimbombò nella stanza fino a perforarmi il cervello.

Tosse.

Avevo anche una dannatissima e orribile tosse.

Allungai la lista di imprecazioni che avevo già iniziato una volta sgranati gli occhi, e mi portai le mani tra i capelli.

Perché doveva essere sempre così difficile?

Mi rinchiusi in bagno sbattendo con non poca calma, la porta dietro le mie spalle ed iniziai a prepararmi.

Lo zaino e la mini valigia che, avevo previsto di portare, erano già pronti dal giorno precedente, quindi non ebbi molte cose da organizzare.

Per fortuna.

Perché l'ultima cosa che avrei voluto, era dovermi mettere a preparare il tutto con il nervosismo che mi invadeva ogni poro della pelle.

"Claire. Ci vediamo qui a mezzogiorno" la informai, una volta infilate le scarpe nere ai miei piedi.

"Dove vai?" Biascicò, aprendo leggermente solo uno dei due occhi.

"Fuori" risposi solo.
Non era questione di essere fredda o altro. Semplicemente non avevo nessuna voglia di parlare.
E comunque, anche se le avessi risposto in modo diverso, era talmente addormentata, che non se ne sarebbe ricordata una volta sveglia.

Lei mugolò qualcosa di incomprensibile da sotto il cuscino ed uscii di lì, ricordandomi di prendere le chiavi.

Essere furiosa col mondo intero mi rendeva più attenta alle cose.

Dimenticare le chiavi significava avere una minima possibilità di essere costretta a farmi ospitare dal bruno dopo tutto quello che mi aveva fatto.

Era quindi impensabile.

Sgattaiolai dunque per i corridoi velocemente e raggiunsi l'uscita del dormitorio in men che non si dica.
Sperai di non incontrare nessuno per la strada ed evitai anche di fermarmi al bar a fare colazione. Tanto, non la facevo mai.

Quando salii sulla metro, sbottonai finalmente qualche bottone del cappotto caldo che avevo addosso e cercai di rilassarmi in attesa di arrivare a destinazione.

Non mi era mai dispiaciuto prendere i mezzi di trasporto, solo che mi rendevo sempre più conto di aver bisogno di un'auto tutta mia per spostarmi con maggiore facilità senza dipendere dai miei amici.

Riflettei bene all'idea di investire tanto del mio tempo in un lavoro che mi permettesse di pagarmela da sola, e lasciai il mio ragionamento mentale in sospeso, solo quando arrivai a destinazione.

Entrai nell'edificio come se fosse casa mia, e mi fiondai nell'ascensore cercando di pensare a tutto fuorché a lui.

Sì, perché se Harry pensava che, dicendomi di non venire, io lo avrei ascoltato come un bravo soldatino, era completamente fuori strada.

The soldier's returnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora