Maddie
"Mamma basta! Mi fai male!" gridai con tutte le forze che avevo in corpo.
Le sue mani grandi facevano un rumore assordante nell'impatto con la mia pelle. Ogni volta era sempre la stessa storia: da quando papà se n'era andato, era diventato un inferno vivere in quella casa, non ci volevo più stare, volevo abbandonare quel posto con ogni fibra del mio corpo. Era l'unico desiderio che avevo: scappare via lontano lasciandomi tutto alle spalle. Lei non era più mia madre, quella donna era morta due anni prima nell'esatto momento in cui anche papà lo aveva fatto.
Era il diciotto settembre, avevo solo nove anni e lo ricordo ancora come se fosse ieri: la mamma stava leggendo un libro quando il telefono iniziò a squillare, io stavo guardando il mio cartone preferito sul computer di papà: Anastasia. Un po' vecchiotto, è vero, ma da quando lo vidi per la prima volta me ne innamorai subito e come ogni bambina, iniziai a guardarlo ininterrottamente ogni giorno. Sapevo ogni battuta a memoria e, loro malgrado, anche i miei genitori.
Ho ancora in testa le grida disperate di mia madre quando le lacrime iniziarono a sgorgare senza sosta sul suo viso. Mi spaventai molto, anche se ancora non avevo capito per quale motivo Susan fosse così triste. Volevo aiutarla, consolarla in qualche modo, e forse per qualche secondo ci riuscii. Mi avvicinai a lei un po' esitante, preoccupata nel vedere i suoi occhi già rossi per il pianto; le posai una mano sulle ginocchia e lei mi attirò a sé abbracciandomi con forza. Di riflesso, iniziai a piangere anche io: la sua disperazione era contagiosa accidenti, ed il mio tentativo di aiutarla si concluse con il farla piangere ancora di più. Non sapevo come fare, dopotutto avevo soltanto nove anni.
Da quel giorno cambiò tutto, anche se l'orrore raggiunse il culmine l'anno successivo, quando iniziò a spendere tutti i suoi risparmi in bottiglie di alcol e non saprei dire cos'altro. Qualche volta si dimenticava di venirmi a prendere a scuola, forse troppo ubriaca o troppo stanca per alzarsi dal divano. Non la riconoscevo più, anche il modo in cui pronunciava il mio nome era cambiato, era sempre arrabbiata e da quel giorno maledetto non l'ho più vista ridere. Faceva male, ma questo fu niente in confronto a quando cominciò a picchiarmi: le percosse non avvenivano regolarmente, all'inizio, poi la situazione divenne insostenibile ed è lì che i miei nonni sono intervenuti.
Non sapevo spiegare il motivo preciso di quei comportamenti così aggressivi nei miei confronti, un tempo era diversa: riuscivo a percepire il suo amore attraverso un solo sguardo, nei piccoli gesti quotidiani come preparami la merenda o comprarmi dei giocattoli. Lei e mio padre erano i migliori in questo: non mi avevano mai fatto mancare nulla.
Ma c'era un ricordo che conservavo gelosamente nel mio cuore, era scolpito nella mia mente in maniera così indelebile che nessuno sarebbe mai riuscito a portarmelo via: era solo mio.
Avevo cinque anni ed eravamo in camera dei miei genitori, stesi sopra il loro letto che a quel tempo mi sembrava gigantesco... quasi immenso. Io ero sdraiata sopra mio padre con gli occhi rivolti verso quella donna che un tempo ammiravo tanto: ci stava leggendo la favola di Peter Pan.
Un momento comune come tanti altri, penserete voi. Cosa ci sarà mai di così speciale? Vero, ma non per me.
Solo dopo aver perso tutto mi sono resa conto che io quei momenti non li avrei mai più vissuti, le mani di mio padre non mi avrebbero più accarezzato la schiena come avevano fatto quella sera, la voce dolce di mia madre mentre mi leggeva quella storia era un lusso che non mi sarebbe più stato concesso di sentire. Non avrei più potuto addormentarmi tra le braccia forti e rassicuranti di quell'uomo che ho amato e stimato alla follia: lui era invincibile per me, sempre pronto a consolarmi e farmi ridere in qualsiasi momento, per una battuta, per il solletico sul divano o per una smorfia fatta di nascosto alla mamma. Chi mi avrebbe salvato da quel momento in poi? Lui era il mio eroe.
Mi diceva sempre che ero la sua principessa ed era solito chiamarmi polpettina: avevo cinque anni, una sera eravamo a tavola e la mamma aveva cucinato le polpette: non mi piacevano affatto e non ci fu verso di farmele mangiare. I miei genitori insistettero tanto e provarono a convincermi in tutti i modi. All'ennesimo tentativo di mio padre mi infuriai a tal punto che iniziai a lanciare le polpette contro di loro urlando a squarciagola che avevo fame, ma non erano quelle che volevo mangiare. Una pizza sarebbe stata senz'altro più gradita, era così difficile da capire?
Da quel giorno il mio soprannome diventò polpettina, all'inizio era divertente perché ogni volta che papà lo pronunciava ci tornava alla mente ciò che era successo quella sera, poi ci feci l'abitudine e diventò così naturale che non me ne curai nemmeno più.
Lui e Susan mi hanno amato davvero, un tempo, e sinceramente la donna che si trovava davanti a me ora, non sapevo proprio chi fosse. Di certo non era la stessa che mi leggeva le favole e che mi baciava la fronte ogni sera prima di darmi la buonanotte.
"Smettila di guardarmi in quel modo Madelaine, non mi fai pena" affermò ancora sbiascicando le parole.
Era ubriaca, tanto per cambiare, e ne ebbi la conferma quando scovai delle bottiglie di vodka ai piedi del divano. Vuote.
Non sarebbe cambiato niente, ogni mio tentativo di farla tornare in sé non sarebbe servito: io non le bastavo. Senza papà si sentiva persa, un dolore forse troppo grande che superava qualsiasi altra cosa, ed io ero diventata semplicemente la sua valvola di sfogo.
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RACE ME
RomanceCOMPLETO Maddie Cooper: testarda, ottimista ed inguaribile sognatrice, sempre alla ricerca del lieto fine in ogni cosa. Cole Evans: uno dei ragazzi più popolari della scuola: stronzo, ovviamente. Pericoloso, inevitabilmente. Lei sogna da sempre il...