CAPITOLO 12

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Maddie

Appoggio la mano sulla maniglia di ferro della sua stanza e conto fino a dieci prima di girarla. Il suono che fa quando si apre è fastidioso e socchiudo leggermente gli occhi pregando che smetta. Faccio un passo all'interno di quel luogo quasi sconosciuto e quando la intercetto di spalle a fissare un punto indefinito attraverso la finestra, mi blocco con il braccio sospeso a mezz'aria. E' dimagrita molto dall'ultima volta che l'ho vista ed i suoi capelli sono più corti: adesso le arrivano appena sotto le orecchie e a vederla così non sembra nemmeno lei. Porta un paio di jeans slavati che le stanno a dire poco enormi ed un maglioncino blu di lana. Ha le braccia incrociate al petto e nonostante abbia sentito che sia entrato qualcuno nella stanza, non ne vuole sapere di girarsi.

Aspetto ancora qualche minuto prima di parlare, sono immobile come una statua di fronte alla porta ancora spalancata e due infermiere sono posizionate fuori insieme al dottore.

"Ti stavo aspettando" esordisce ad un certo punto. La sua voce è diversa, impersonale, anaffettiva.

"Ciao mamma" dico con un tono così basso che non sono nemmeno sicura che mi abbia sentita.

Si volta con una lentezza disarmante e quando mi guarda, rimango pietrificata: i suoi occhi sono contornati da due occhiaie violacee, ha molte più rughe rispetto all'ultima volta che l'ho vista e sembra invecchiata di almeno dieci anni.

"Ti trovo bene" mento cercando di essere gentile, ma lei mi conosce.

"Mi trovi bene dici? Ha sentito dottore? Mia figlia mi trova bene" ripete. "Da quanto non ci vediamo Madelaine? Da quanto non vieni a trovare la tua dolce madre malata? Rammentamelo, perché non me lo ricordo." non rispondo, non so cosa dire.

"Oh andiamo, non fare la timida adesso. Non ti si addice proprio. Vieni, siediti qui accanto a me." si lascia ricadere sul letto singolo alla sua sinistra dando dei colpetti sul materasso ed io la osservo, ancora immobile. Non so cosa pensare e mi sta spaventando.

"Beh, non mi dici niente? Cosa hai fatto in tutto questo tempo?" mi domanda ancora e decido di rispondere spostando l'attenzione su argomenti meno spigolosi.

"Sto frequentando il college a Fall River." la informo strofinando le mani sui miei pantaloni.

"Fall River... ma è a due ore da qui" dice, forse ragionando ad alta voce.

"Lo so, avevo bisogno di cambiare aria" decido di essere sincera, dopotutto è sempre mia madre.

"Che sciocchezza." commenta invece lei e la delusione che provo è come un pugno in pieno petto.

"Come stanno George e Elisabeth?" mi chiede ancora cambiando improvvisamente discorso.

"Bene, ti salutano." 

Ne segue un silenzio imbarazzante che nessuna delle due sembra voler interrompere ed io continuo a guardarla, quasi non riconoscendo la donna che ho davanti: è cambiata tanto e mi sembra passato così tanto tempo dall'ultima volta che l'ho vista che ho l'impressione di non avere più niente in comune con questa donna. Infila una mano sotto il cuscino estraendone una vecchia bambola, se la rigira tra le dita e fa il gesto di accarezzarla.

"Sai Madelaine, questa te l'avevo comprata poco prima che mi portassero in questo posto infernale. Non mi fraintenda dottor Kevin" grida portando la sua attenzione sul medico alle mie spalle. "Lei mi sta simpatico, ma sono fottutamente stanca di stare qui dentro. Ho fatto delle amicizie sai? Denise è molto simpatica ed anche a lei hanno detto di essere pazza" continua con espressione assente. Sta farneticando, credo.

"Mamma nessuno ha detto che sei pazza" le dico, usando il tono di voce che di solito si usa con i bambini.

"Tuttavia" continua come se non mi avesse neanche sentita "quando mi ha riferito di avere dato fuoco alla casa con suo marito dentro, ci siamo fatte una grossa risata. Il poveretto non ce l'ha fatta. Non era sua intenzione comunque fargli del male, non sapeva che fosse in casa." inizio ad avere paura ed istintivamente faccio un passo indietro... chi diavolo è questa donna?

Alza le spalle. "La tradiva" dice come se fosse un buon motivo per uccidere qualcuno.

"Perché non è in prigione?" domando sconvolta al dottore.

"Perché è malata" risponde mia madre al posto suo. "E' questo che facciamo noi malati mentali: siamo malati. Questa è la nostra scusa."

Voglio uscire da qui. Rivolgo di nuovo l'attenzione al dottore chiedendogli aiuto silenziosamente ma non appena sta per intervenire, accogliendo immagino la mi richiesta, mia madre ricomincia con il suo monologo.

"Ad ogni modo, di cosa stavo parlando? Ah si. La bambola. Guardala" me la mostra e poi continua. "L'avevo comprata perché ti assomigliava, ti volevo fare un regalo quella sera ma tornando a casa la sorpresa l'hanno fatta a me. Tu non c'eri più, chissà dov'eri finita, e alcuni uomini mi hanno detto di raccogliere le mie cose perché mi stavano per portare altrove. Puoi immaginare il mio stupore. Dove diavolo eri tu? Perché hai permesso che succedesse?" alza la voce e nel suo tono leggo delle accuse che mi sembrano assurde ed infondate per una bambina di soli dieci anni.

Dove ero io? Erano le dieci di sera quando i miei nonni sono venuti a prendermi e di lei ancora non c'era nessuna traccia. Con che coraggio mi viene a dire queste cose? Dovrei essere io quella arrabbiata, non lei.

"Hai lasciato che mi portassero via per poi rinchiudermi qui dentro, è colpa tua!" strilla ed il sangue smette di fluire nel mio corpo in modo regolare.

"Colpa mia? Prenditi le tue responsabilità per una buona volta! Avevo dieci anni, cosa diavolo avrei dovuto fare?" grido, ma la voce arriva ovattata alle mie orecchie.

"E' colpa tua, è colpa tua, è colpa tua!" ripete isterica e indietreggio ancora sbattendo la schiena sul muro freddo della parete immacolata.

"Basta!" urlo a mia volta.

"Tuo padre era uscito a comprarti il regalo di compleanno quella sera" sputa fuori in tono sprezzante ritornando apparentemente ad uno stato di calma ed io faccio mente locale. Sono nata il ventuno settembre. Papà è morto tre giorni prima: i conti tornano.

"Mi aveva scritto un messaggio, aveva trovato quegli stupidi peluches parlanti che gli avevi chiesto e non sapeva quale scegliere" non me lo aveva mai detto, è la prima volta che sento questa storia. "Gli avevo consigliato quel gatto blu che mi avevi indicato mentre passava una pubblicità alla tv e lui sembrava entusiasta. Addirittura te ne comprò due, ti prese anche quello stupido topo rosa. Diceva che non poteva esistere un gatto senza il topo." non credo nemmeno di respirare. "Quella sera non è più tornato e tutto questo per colpa tua!" afferma ancora convinta e delle lacrime silenziose iniziano a rigarmi le guance. Come può pensarlo davvero?

"Adesso basta Susan, non sai nemmeno quello che dici" interviene il dottore in mia difesa.

"Lo so benissimo invece. Madelaine è la responsabile della morte di mio marito ed è giusto che lo sappia." La calma con la quale pronuncia queste ultime parole è la cosa che mi fa più male.

"Andiamo Madelaine, credo che possa bastare" mi suggerisce Kevin posandomi delicatamente una mano sulla spalla.

Rivolgo un'ultima occhiata alla donna seduta su quel materasso spoglio, una donna vuota e priva di sentimenti. I suoi occhi sono inespressivi e non riesco a leggere nessuna emozione al loro interno. Continua a fissarmi fino a quando una smorfia simile ad un sorriso le compare sul viso.

"A presto, Madelaine".

Esco da quella stanza con sguardo assente. Non so cosa sto provando, quello che so è che non riesco a fermare le lacrime e quando il dottore mi parla non sento nemmeno quello che dice. E' come se fossi sorda. Lo vedo, ma non lo sento. Prende il telefono in mano telefonando qualcuno, a chi di preciso non saprei dirlo, poi mi fa accomodare nel suo ufficio e un'infermiera mi ripone una coperta sulle spalle: non mi ero nemmeno accorta che stavo tremando. Quando è diventato così freddo questo posto?

Vorrei ringraziare la signora per il suo gesto gentile, ma dalla bocca non mi esce niente. Rimango a fissare un punto nella stanza fino a quando delle mani calde mi circondano e gli occhi dolci di mia nonna riescono a trasmettermi di nuovo un po' di calore. Quando arriviamo a casa dei miei nonni tutto quello che riesco a fare è sdraiarmi sul letto con ancora gli stessi vestiti addosso e crollare finalmente in un sogno senza sogni.

RACE MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora