24. Paese che vai, usanza che trovi

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Ivàn si era ambientato molto bene ad Hogwarts. Suo fratello gli scriveva comunque ogni settimana per sapere come andassero le cose, anche se il giovane Krum pensava che fosse per carpire informazioni su una certa Grifondoro riccia e molto brava a scuola. Di sicuro, lui non aveva tempo per seguire le pene amorose del fratello maggiore. Era troppo impegnato a studiare la lingua, mettersi in pari coi programmi e svolgere ore come volontario da Madama Chips per iniziare a imparare medimagia.

Anche quella mattina stava correndo come un matto, schivando un gruppetto di tassorosso del primo, o secondo anno, perché aveva fatto tardi ripassando fino allʼutimo le piante medicamentose e non si era accorto che le lezioni era già iniziate. Arrivò nei sotterranei col fiato corto, forse doveva riconsiderare lʼidea di iniziare ad allenarsi a Quidditch coi ragazzi, giusto per avere un poʼ di fiato in più in caso di necessità. Quando Ivàn arrivò allʼaula di pozioni, i suoi compagni grifondoro erano ancora fuori e sembravano impazziti, sovraeccitati. I serpeverde, che avevano lezione con loro quella mattina, discutevano animatamente fra di loro. Il giovane Krum rallentò il passo e si avvicinò a Seamus, che era il compagno più esterno del gruppetto.

«Cosa succede, Seam?»

«Oh già, tu non eri a colazione stamani.»

«No, stavo studiare.»

«A studiare, Ivàn! Beh, amico, non so come funziona da voi in Bulgaria, ma qui a Hogwarts questʼanno la festa di Halloween si tingerà di rosa, anche se, a giudicare dai toni concitati, forse sarà tinta di rosso... sangue!»

«Tin... Ting... Non ho capito una parola, Seam.»

«Per la festa di Halloween, dovranno essere le ragazze a invitare i ragazzi e non quelli della propria casa. Ecco perché sono tutti impazziti. Le serpeverde stanno dando di matto da prima dellʼarrivo di Lumacorno, che alla fine è dovuto andare a chiamare la Preside. Temerario chi si avvicinerà loro, oggi!»

Ivàn aveva capito sì e no metà delle parole del compagno, ma una cosa era chiara: paese che vai, usanza che trovi. Lo diceva sempre sua nonna e aveva ragione. Non aveva niente in contrario al fatto che le ragazze invitassero i ragazzi, oh no, ma lui era arrivato da poco e non lo conosceva nessuno, e quindi già pensava che non lo avrebbe scelto nessuna. Il ciarlare dei compagni era assordante, amplificato dalle mura di pietra dei sotterranei.

«Ragazzi, per favore...» tentarono di dire insieme i due Capiscuola.

«Adesso basta!» la voce della McGranitt risuonò stridula come un gesso su una lavagna. «Credo che questo non sia il momento di discutere, ma di studiare. Il povero professor Lumacorno è dovuto venire fino su in presidenza!»

«Ma signora Preside, non possiamo scegliere un compagno di casa?» disse Daphne con tono esasperato andando dritta al punto, mentre Pansy e Millicent annuivano dietro di lei.

«E secondo lei, Signorina Greengrass, come è possibile lʼintegrazione fra studenti, se ognuno rimane confinato nella propria casa di appartenenza? Dovreste dimostrare maggiore maturità, signorine, e avvicinarvi con fiducia alle altre case. Non avete forse sentito anche il monito del cappello? Lʼunione tra le case è il nostro obiettivo e lo perseguiremo durante tutto lʼanno scolastico. Mettetevi lʼanimo in pace!»

Le serpeverde trattennero a stento il loro disappunto, mentre le grifondoro restavano in silenzio. A dispetto delle apparenze, non erano meno scontente: Ginny era bianca come un cadavere, chissà cosa le frullava in testa. Hermione invece guardava intensamente Blaise, come se fosse indecisa se rompere o meno il ghiaccio.

«Allora, direi che le cose sono chiare, ora, andate a lezione sennò tolgo cinquanta punti a testa.» e detto questo la Preside se ne andò con uno svolazzo nervoso del mantello violaceo.

La profezia dei fondatoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora