10.

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Mora stringe tra le dita i suoi capelli. Ha fatto la cazzata del secolo. È immobile davanti allo specchio, cercando di capire se le piacciono i nuovi colori. Era mora, come il suo nome, quasi nera. Adesso, con i colpi di sole è molto più chiara, le punte quasi bionde. Non riesce ancora a capire se questa trasformazione le piaccia o no. Ormai però il danno è fatto. Non si può più tornare indietro. Al massimo, potrà farli evolvere. Tra qualche settimana.

Legge i messaggi che durante la mattinata le sono arrivati sul gruppo della band. I primi 10, dopo la sua condivisione delle 3 di notte, riguardano sul perché fosse sveglia a certi orari e mandasse loro certe cose. La seconda parte riguardano la canzone: il testo è bello, peccato la piccola sbornia che non rende molto. Anche l'accompagnamento con la chitarra e con il pianoforte non sono male. Riascolta le sue registrazioni notturne e sorride per l'imbarazzo, ancora osservando il suo riflesso. Canticchia la canzone e lentamente si dirige verso il suo pianoforte a muro, per provare a cantarla da sobria. Non le dispiace, anche se vorrebbe lavorarci sopra e migliorarla.

Cerca gli spartiti nella sua borsa ma, anche svuotandola, non ci trova nemmeno un foglio dentro. Ana. Subito la chiama. Non si ricorda dove l'ha lasciati, da brava sbadata qual è. sono passati tra le mani di quasi tutti ma nessuno ci aveva capito nulla, visto che era tutto in italiano.

"Forse, puoi provare a chiedere ad Aron. Li ho visti in mano sua l'ultima volta" le dice la ragazza dal caschetto nero, dall'altro lato del telefono. Chiude la chiamata con la ragazza per avviare subito dopo quella con Aron.

"Mora?" risponde lui appena legge il nome sul display.

"Hai tu i miei fogli?" domanda appena sente la sua voce.

"Che fogli?"

"Quelli che ho lasciato in mano ad Ana, stamattina" spiega velocemente. Attende una risposta.

"Li ho tenuti io, se fosse stato per Ana non li avresti più visti. Mi sono dimenticato di restituirteli. Domani te li consegno che li ho lasciati nel mio armadietto, okay?" espone i suoi pensieri. Menomale che c'è lui che li ha tenuti con sé!

"Li hai letti?" s'incuriosisce Mora. Non vuole che qualcuno li legga. Se finissero nelle mani sbagliate...

"Hai una calligrafia orribile e sono in italiano. Ci ho provato ma non ci sono riuscito" ammette. Li aveva letti quei fogli, tra note, parole e Google traduttore.

"Se li avessi letti, ti avrei menato, quindi spero tu non mi stia mentendo. Io prima o poi scopro tutto, ricordatelo. Quindi non raccontarmi bugie perché vai a finire male, ragazzo" lo minaccia quasi dolcemente.

"Okay donna, non voglio fare a botte con te." sorride lui dall'altra parte del telefono.

Il campanello suona. Mora subito si lancia per aprire la porta, con il telefono ancora attaccato all'orecchio. Fuori è quasi buio. Davanti a lei, spunta Ray.

"Bene, tanto ti avrei steso. Comunque ora devo andare. Ci vediamo domani. Grazie ancora per i fogli" Mora conclude la chiamata.

"Chi era?" Ray domanda chiudendo la porta. Si toglie la giacca e la poggia sul divano, accanto a lui. La stanza è buia. Mora ama stare al buio, guardare le luci esterne che cambiano con il passare del tempo.

"Aron. Ho dimenticato dei fogli agli Studios. Nulla di importante" risponde lei. Sono molto importanti! Ma non capirebbe, quindi resta sul vago.

"Sorridevi, felice di sentirlo, o sbaglio?" commenta stuzzicandola.

"Ma smettila di fare il geloso. Mamma mia, non posso nemmeno sorridere!" Mora si solleva dal divano, dov'era comoda accanto a lui. Accende la luce.

"Allora avevo capito bene. Che cazzo hai fatto ai capelli?" subito si dirige verso di lei, per guardarla da vicino.

"Li ho schiariti, perché? Non ti piacciono?" sorride proprio per infastidirlo. S'accarezza i capelli, come se li amasse alla follia.

"E perché non me lo hai detto che facevi sto schifo?" si passa violentemente una ciocca tra le dita, disprezzante.

"Non ti devo dire tutto ciò che faccio. Sono una donna libera, Aron!" Mora sgrana gli occhi subito dopo aver colto le sue stesse parole. Aron? Perché l'ha chiamato Aron?

"Come cazzo mi hai chiamato?" Ray alza la voce, facendo un passo verso Mora e mostrandole da più vicino il petto muscoloso sotto la maglietta.

"Scusa! Stai calmo. Ho solo confuso i nomi. Non c'è bisogno che ti incazzi così per una scemenza del genere!" cerca di tenergli testa. Maschera velocemente la sua paura in coraggio.

"Una scemenza del genere? Mi hai chiamato con il nome del tuo collega di merda che fa tanto il belloccio e che non mi sta affatto simpatico. Dovrei stare calmo dici?" le voci si alzano. Per quando Mora sa che lui non è affatto un tipo a sangue freddo, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione del genere. Dove chi urla più forte, vince.

"Senti Ray, vedila come vuoi. Mi hai veramente stancata. Non ce la faccio più. Basta" l'ultima parola esce quasi strozzata dalla sua gola. Non pensava minimamente di poterlo lasciare. Non così. Non ora. Ma è l'unico modo per essere felice.

"Cosa stai dicendo Mora?" la sua voce urlante finalmente torna normale. È agitato. Il respiro accelerato.

"Forse è meglio finirla qui. Le cose tra noi non vanno affatto Ray." lei tiene gli occhi bassi, non vuole rischiare di pentirsi del suo gesto sventato ma liberatorio.

"Mora. Non stai dicendo veramente quello che sto sentendo. Guardami in faccia." alza lo sguardo per pochi secondi. Si sente in colpa, quando non dovrebbe affatto: "Mi hai tradito con Aron? Quel figlio di puttana!" ringhia: "Sei una zoccola. Ci sei andata a letto eh? Non ti bastavo più? Il mio cazzo non è abbastanza grosso per soddisfare le tue voglie?"

"Non ti permettere! Non ti ho tradito né con Aron, né con nessun altro. Non è questione di cazzo Ray. Davvero pensi che io possa lasciarti perché non mi soddisfi sessualmente? Non è questo il nostro problema. Il nostro problema è che a te non va bene un cazzo della mia vita. Se faccio musica non ti piace, se recito, non ti piace, se sto a contatto con le persone non ti piace. Se una sera esco con i miei amici non ti piace. Non ti piace un cazzo di quella che sono io. Trovati qualcuna che ti soddisfi cazzo e lasciami stare!" non avrebbe mai pensato di poter tirar fuori una tale voce. Piena d'energia, di grinta, di rabbia repressa.

Una mano gelida e piena d'ira le provoca dolore sullo zigomo. Come sono arrivati a questo? Le lacrime brucianti di delusione iniziano a bagnarle il volto rosso. Le dita di Ray hanno lasciato la loro impronta sul viso limpido di Mora. Gli occhi di Ray sono colmi d'energia all'inizio. Poco dopo sono grigi, spenti. Privi di colori. Fa un passo indietro. L'ha capito troppo tardi cosa vuol dire autocontrollo. Ha capito troppo tardi che l'ha picchiata e neanche se n'è reso conto. Le gote purpuree incorniciano la lucidità del suo sguardo ormai rubato dall'importanza che aveva acquisito con il tempo.

"Vattene" la voce di Mora trama, come tutto il suo corpo che a causa del ragazzo è diventato piccolo e nudo.

"Scusami amore mio" sussurra Ray, cercando di appiccicare un pezzetto di Scotch di carta sopra una crepa ormai troppo espansa.

"Vattene. Non voglio più vederti in vita mia. Non meriti un cazzo!" urla lei prendendo coraggio, tra un singhiozzo ed un altro. Ray afferra la sua giacca e lascia Mora da sola. Quando la porta si chiude, le ginocchia non la reggono più. Scivola sul pavimento, portandosi le mani sul volto.

Come ci è arrivata a tutto questo? Come poteva evitarlo? Forse non avrebbe mai dovuto fidarsi. Ma allora di chi poteva farlo? Le lacrime calde le bruciano la pelle infuocata. Davanti allo specchio lei vede quelle dita, ancora lì. Brillano di vergogna. 

Aron PiperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora