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Mora, dopo aver finito le riprese, cammina. Cammina infinite camminate. Gira per tutta la città, visitando posti che ormai conosce a memoria, ma li riguarda. Ogni dettaglio che già sa, che ha già constatato, lo riguarda. Li ripassa, come se dovesse rispondere ad un'interrogazione domani mattina. Rivisita ogni angolo, ogni via, dalle più abitate, alle più desolate. Osserva dentro ad ogni locale, dalle vetrate. La vita continua ad andare avanti e lei, resta ad osservare gli altri che vanno avanti insieme alla vita. Mora si sente bloccata in una stupida scatola di plexiglass che le mostra ogni movimento intorno a lei, senza renderla partecipe di quella maledetta terza legge della dinamica che Mercedes tanto cita. Vorrebbe essere come il suo personaggio, intoccabile; invece si ritrova ad essere spaventata di qualsiasi essere umano per paura di provare dolore. Per paura di essere toccata nel modo sbagliato. Osserva tutti coloro che le camminano accanto: gli innamorati che si tengono per mano e si sorridono, guardandosi negli occhi, senza alcuna importanza di ciò che potrà riservare il futuro per loro. I bambini sono bipolari: si guardano intorno, curiosi, di questo nuovo mondo che un po' somiglia alla placenta della loro mamma. Prima erano all'interno di un altro globo. Loro lo rendevano tale. Ora, sono solo un puntino in mezzo alla folla. Lo capiranno presto, che forse era meglio quando s'era protagonisti del proprio piccolo mondo, nella pancia della propria madre.

Mora la sente la mancanza della sua mamma, soprattutto in questi momenti in cui si percepisce come estranea alla massa di persone che vanno in un'unica direzione e lei controcorrente. Come ha sempre fatto d'altronde. Ma non s'è mai sentita così sola. Vorrebbe che qualcuno le stringesse la mano. Ma lei, stavolta, non ha nessuno. Non che prima, con Ray, avesse qualcuno a cui stringere la mano, ma era diverso. Non aveva paura. Chi lo avrebbe mai detto che un personaggio che con il tempo era diventato così insignificante, in un secondo, si sarebbe trasformato in un punto di autodistruzione nella sua mente. Vuole smettere di pensarci. Vuole rimuovere dalla sua testa quella paura che la porta a tirarsi indietro. Aron l'aveva difesa. L'unico che aveva fatto qualcosa per lei. Anche Miguel ci avevo provato, ma non abbastanza. Le parole non le servono. Le servono i fatti. Dormirà nel suo appartamento questa sera, perché deve affrontare ciò che la sta cambiando.

Decide che forse, alle 23:30, è ora di tornare a casa e smetterla di vagabondare in giro senza mete precise. Sembra solo pazza agli occhi degli altri e non è il caso di dare spettacolo. Ancora in Spagna nessuno sa chi è. Ancora è libera di camminare, senza l'ansia di essere riconosciuta. Ancora i nomi dei nuovi attori di Élite 4 non sono usciti, ma ormai manca sempre meno agli scoop sulle registrazioni. Lo sente dentro di sé, che ben presto tutto verrà a galla. Spera però, che con la fama, i suoi segreti non vengano smascherati. Sarebbe difficile da spiegare. Sarebbe difficile, poi, prenderla sul serio. Come una semplice ragazza di 22 anni.

Apre il frigo e la luce che si accende è l'unica in casa. Al suo interno una bottiglia di Vodka Lemon brilla. Ne beva un po', qualche shottino. Qualche shottino. Qualche shottino di troppo.

Le labbra bruciano, ma sulla sua lingua, lo zucchero dolce le lascia quel retrogusto da ne voglio ancora. La sua testa, finalmente, è libera di sentirsi più leggera. Canta, balla, mettendo musica da discoteca dal suo cellulare. Sola, nel suo salotto. Toglie le sue adorate Buffalo, che per quanto le ami, iniziano a farle sudare troppo i piedi, viste le temperature innalzate rispetto a qualche mese fa. Danza senza ritmo, come a volte le piace fare. Scuote i capelli e s'immagina un grande pubblico affascinato seduto sul divano. Muove il sedere, come se dovesse farsi notare da qualcuno in discoteca, con il seno ben in vista. Quasi twerka, senza saperlo veramente fare, e risultando ai suoi stessi occhi esilarante, così da ridere a crepapelle.

Quando il sudore inizia a plasmarle la pelle chiara, si stende sul suo pubblico fatto di cuscini e mette in pausa la musica.

"Benji? Ciao! Come va? Ti disturbo?" subito l'amico italiano risponde. La voce di Mora non è ben salda. Lo capisce subito che è palesemente brilla.

Aron PiperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora