CAPITOLO 30 - Scheletri dell'animo

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«Where no one knows me and no one knows you
And you don't know me and I don't know you

If you would open up your heart
Drop your weapons, drop your guard
Just a little trust is all it takes

Oh, I know that you've been around
But hear me now I'm crying out
Let me be the light upon the lake»

(Give a Little – Maggie Rogers)

29 dicembre 1972

Sirius

Una cosa che da ragazzini lui e James amavano fare quando erano insieme alla residenza dei Potter, era lanciare palle di neve agli Augurey che si avvicinavano troppo all’ingresso della casa. Non era chissà quale passatempo divertente e, anzi, a guardar bene gli occhi tristi di quelle creature, la voglia di disturbarle svaniva di soppiatto, ma un tempo le avrebbero tormentate per ore – mentre Sirius, quel pomeriggio, perse quasi subito ogni voglia di farlo, fermandosi invece a osservare la palla di neve che aveva formato con le dita intirizzite, lasciando che fosse James a dar sfogo alle proprie energie.

Tornare in sintonia come un tempo era ancora difficile.

Non era il James dei suoi vent’anni, il tipo ironico e a volte maturo che riusciva a metterlo in riga quando c’erano delle responsabilità da prendersi; e non era nemmeno la versione più scapestrata che avrebbe finito con l’inimicarsi Lily al quinto anno, per un’aggressione ai danni di Snape eccessivamente plateale e gratuita per poter essere ignorata.

Era troppo distante per accordarsi al suo io attuale, a differenza di Remus, a cui tendeva senza volerlo – poiché le similitudini con la controparte adulta erano forti, familiari. Recenti.

«Oh, Jamie, così li spaventerai a morte e non torneranno più!» esclamò Fleamont Potter che, seduto sulla sua amata sedia a dondolo in veranda, osservava la scena divertito, un paio di Augurey a volar loro attorno, agitati.

Sirius si girò a guardare il padre di James e sorrise. Era vecchio ma energico, i capelli grigio scuro che sfumavano sempre più sul bianco, le mani rugose che reggevano tra le dita una pipa che odorava di tabacco. I suoi occhi, d’un castano chiaro, erano la fotocopia di quelli del figlio.

James starnutì e lanciò un’ultima palla di neve a un Augurey che si era azzardato a volargli sopra la testa per ripicca, facendolo fuggire. «Papà, li prendo in giro ogni inverno, e tornano comunque; magari gli piace giocare così, no?» replicò imbronciato in risposta al genitore. «La mamma ha finito di preparare tè e biscotti?» domandò poi, scompigliandosi i capelli.

«Hai di nuovo fame?» chiese Sirius, divertito. Anche il suo stomaco brontolava, ma non era niente che non potesse gestire. Buttò la neve che aveva raccolto e si massaggiò una spalla; gli facevano male tutte le articolazioni, doveva essersi allungato ancora – crescere di nuovo era snervante, ogni centimetro del suo corpo subiva cambiamenti costanti e repentini. E lui era cresciuto in fretta, tanto da non poter più essere definito un ragazzino.

Persino i genitori di James se n’erano accorti – «L’anno scorso eri poco più basso di me!» aveva detto la signora Potter, ritrovandoselo davanti dopo mesi senza vederlo. E in effetti aveva ragione: era più alto di lei e di James, ma non di Fleamont.

Looking too closely [Libro I - The Lovers]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora