CAPITOLO 66 - Destino, Morte e Dentifricio

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All the things we’ve seen, they just make us scream
Now they’re in our dreams, open up the box
Now it never stops, full of little shocks

Wings, hearts, some things are meant to be torn apart
Faith, hope, some things are meant to be gone broke

Killing, killing, killing, killing, killing, killing butterflies
We stay up all night killing butterflies.»

(Killing Butterflies – Lewis Blissett)



30 dicembre 1976

Evan

Il mondo aveva perso i suoi colori nel momento esatto in cui Ophelia era morta. Era difatti certo che, se avesse sbattuto le palpebre più volte, in cerca di tonalità diverse dal grigio, non si sarebbe neppure accorto della loro presenza; che avrebbe languito in un mare asettico e annebbiato, tormentato dalle grida di quella sera, fino a quando non avesse trovato pace, sebbene quest’ultima fosse ormai all’altro mondo, coi suoi resti terreni infilati in una cassa e sepolti nel sottosuolo.

«Evan, dovrai tornare a scuola, lunedì» disse la voce di sua madre, obbligandolo con le proprie parole a un presente che non voleva udire, né vivere. «Tornerai a scuola e farai ciò che serve per mantenere intatto l’onore dei Rosier.»

L’onore dei Rosier. L’unica cosa a cui pensava la sua famiglia era il benessere della casata Purosangue; che importanza aveva che la loro amata nipote fosse morta? Che importanza aveva che di lui non fosse rimasto niente?

Evan non sollevò lo sguardo né la degnò di una risposta, seduto sul bordo del letto della propria camera da ormai ore, a far nulla perché di nulla si sentiva composto, e ignorò ciò che sua madre continuò a ordinare – era una mosca di cui sentiva soltanto il ronzio e che avrebbe voluto schiacciare con violenza.

Quando alla fine sua madre se ne andò, lasciandolo in pace, Evan si distese e scrutò il soffitto, nella pancia gli scossoni di un tormento perenne. Se provava a scacciarlo, le immagini della morte di Ophelia, del suo corpo gonfio, delle grida del Babbano assassino, gli risuonavano nella scatola cranica. E allora la nausea aumentava, strabordava dai confini del suo stomaco.

Voleva uccidere quell’uomo. Smembrarlo. Anche se era già morto – Rabastan si era preso anche quello, aveva scelto per lui intromettendosi come faceva sempre. Gli aveva tolto la gioia di un sollievo, imponendogli un limbo in cui l’insoddisfazione era l’unica emozione rimastagli oltre all’odio.

Gli avevano sempre detto che i Babbani andavano odiati. Che insozzavano la purezza del sangue dei maghi. Non vi aveva mai creduto del tutto, più per disinteresse che per reali motivi – aveva sempre eseguito gli ordini senza mai porsi eccessive domande – ma ora non era in grado di non dare ragione a chi li disprezzava.

Un Babbano aveva ucciso Ophelia.

I Babbani era davvero il male.


Ai suoi occhi, erano tutte frasi con un senso, si incastravano alla perfezione nella sua smania di odiare per non sentire dolore. Eppure, ricordava ancora bene i discorsi di Ophelia sulla magia e sui Babbani, sui lati comuni di persone magiche e non magiche; lei non aveva pregiudizi, era innocente poiché pensava con la propria testa. Non seguiva nessun flusso; si poneva domande, dava un senso a ciò che aveva di fronte.

Looking too closely [Libro I - The Lovers]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora