Capitolo 5

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«Tommy, ti prego... almeno pensaci. Dimmi qualcosa» gli dissi terrorizzata.

«No, Vio... non cambio idea, nemmeno così. Non ho intenzione di trasferirmi a Londra, non mi piace il freddo e detesto la pioggia, poi ora ho dei giri buoni qui e non posso mollarli» mi rispose spezzandomi il cuore.

Tra i singhiozzi e le lacrime mi scontrai con un muro di pietra che era la persona che con cui avevo costruito la mia casa «Tommy, sei disposto a continuare a stare senza di me, a perdermi, pur di non muovere il tuo culo da qui?» gli urlai mentre lui mi fissava attonito senza rispondermi niente.

«Come puoi non aver niente da dire» incalzai «stiamo insieme da cinque anni Tommaso. È una bellissima occasione per la tua carriera, stai già esponendo lì e ora hanno bisogno di te, aiuteresti tantissimo Gabriel e me. Pensaci almeno, cazzo. Che sta succedendo? Sei sempre così strano e scostante. Devi dirmi qualcosa? Sei stato strano per tutta la vacanza, non mi hai quasi sfiorata con un dito... Che è successo? Hai conosciuto qualcuno? Non mi vuoi più? Non mi ami più? Abbi almeno il coraggio di ammetterlo e dirmelo in faccia» continuai a urlare, decisamente fuori controllo.

Lui visibilmente a disagio e turbato rispose «io... io... non lo so. Non so se ti amo ancora, sono confuso».

«Come fai ad essere confuso? O mi ami o non mi ami, è facile?» gli ringhiai contro.

Lui si immobilizzò sbiancando «Ho... ho incontrato una persona. Non è successo niente Vio però, te lo giuro! Sono solo in confusione...»

Quelle parole mi trafissero come un coltello, mi squarciarono il cuore in un milione di pezzi e senza neanche voltarmi presi il mio trolley e la borsa e tra le lacrime che cercai di controllare con tutta la forza che mi era rimasta in corpo presi la porta.

La porta si riaprì dopo di me e sentì lui che mi urlava «Viola, ti prego! Aspetta, parliamone, ti prego» e con l'unica briciola di forza e dignità che mi era rimasta, mi voltai e gli risposi «è finita Tommaso» con la voce gelida e tagliente come un rasoio.

Lui continuò a fissarmi mentre scendevo le scale e me ne andavo, riuscivo a percepire il peso del suo sguardo su di me, ma non potevo tornare indietro, non voleva che io fossi realizzata era questa la verità, non voleva che io fossi felice e io non potevo permetterlo.

Sentii i suoi passi per scale, lo sentii urlare e correre, ma a quel punto avevo smesso di sentire qualsiasi sensazione, ero come intrappolata nel mio corpo dal mio dolore, di nuovo, e continuavo a camminare.

Appena fuori dal portone saltai sul primo taxi che mi trovai davanti e urlai al tassista di portami lontano, veloce, l'uomo mi guardò sbigottito «Ah signorì, ma lontano come? Vole annà al mare? A Ostia? A Anzio?» lasciò la domanda in aria, ma io a quel punto ero già distrutta, il dolore mi invadeva e mi sommergeva a ondate.

Lui mi vide e iniziò a guidare dicendo tra sé e sé «bah, da quarche parte si annà»partì e girando intorno al Colosseo lo salutai per l'ultima volta.

Racimolai un briciolo di lucidità e gli chiesi di portarmi all'hotel più vicino all'aeroporto di Ciampino, lui mi disse qualcosa su un suo amico che conosceva e non ricordo il resto, annuii e mi lasciai portare.

Nel frattempo il mio telefono non smetteva di squillare avevo quindici chiamate di Tommaso, cinque di mia sorella Sara e due di mia madre. Ma non avevo davvero la forza di parlare con nessuno quindi scrissi un messaggio a Sara: «io e Tommaso ci siamo lasciati definitivamente, ti prego riprendi le mie cose che sono rimaste da lui. Io non riesco... grazie. No domande per ora».

E ricominciai a piangere. La notte in hotel fu infinita, piansi, non mangiai niente e non avrei voluto mai più alzarmi, ma dovevo tornare a Londra, in quella città che ormai era l'unica casa che mi rimaneva.

Sul volo mi resi conto di non avere nuovamente una casa in cui tornare, ero da sola, non volevo stare con nessuno, se non lui... ma lui mi voleva a sua misura, mi voleva solo se assecondavo i suoi desideri, non voleva la vera me, la me stessa che avevo scoperto di essere in questo ultimo anno, mi ero eclissata anche troppo per l'amore, dovevo rimettermi al primo posto.

Tornai al lavoro, ma non riuscivo a fare niente, ero uno straccio, come non lo ero da tanto tempo.

Il dolore stava portando via ogni cosa, trascinava lontano tutto ciò che avevo costruito e io mi ci stavo perdendo dentro, facendomi rovinare.

Trovai il coraggio e parlai con Daniel, il mio capo, non potevo andare avanti così.

Riuscii ad affrontare solo una settimana, giusto il tempo di organizzare un progetto per Cathy, la mia collega, otto giorni da quando lui mi aveva lasciata, distrutta e sola, riuscii a farmi dare un'aspettativa dal mio capo a fine produzione per rimettermi in piedi e tornare me stessa, che credo mi avesse concesso solo vedendo lo stato in cui versavo.

Daniel è un buon amico, non finirò mai di ringraziarlo e partii.

Fisso il mio riflesso nella portafinestra, con la testa inclinata leggermente a destra, le occhiaie scure che mi solcano il viso, le lacrime che sembrano non avere mai fine, le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi vuoti.

«Smettila di ricordare, cretina» mi urlo in faccia.

«Non serve a niente, lui non cambierà idea, non tornerà da te».

Canzoni Capitolo 4:

Non me lo so spiegare - Tiziano Ferro

The Scientist - Coldplay

16 Marzo - Achille Lauro

16 Marzo - Achille Lauro

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Ciao a tutt*!

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A presto!

Clau

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