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Eravamo ancora fermi, ed ero così vicina al tronco da sentire la corteccia che mi sfiorava delicatamente la schiena.

<<Perché hai smesso di parlare? Mi stavo quasi abituando alla tua sfilza di domande senza senso.>> continuò poi, facendomi stirare le labbra in un sorriso. Sembrava essersi accorto del mio improvviso cambio d'umore e forse stava cercando di rimediare. Forse.

<<Stavo pensando a quanto tu sia imprevedibile a volte.>> risposi. Alzò un sopracciglio in cerca di spiegazioni, così continuai. <<Ci sono giorni in cui ti comporti da perfetto scorbutico asociale. Ed altri, come oggi, in cui ti preoccupi per me.>>

<<Non mi sto preoccupando per te.>> ribatté lui spostando gli occhi da un'altra parte, apparentemente nervoso per le mie parole. Tuttavia non aggiunse altro, e rimase esattamente dov'era aspettando quasi che mi rimangiassi quanto detto. Che ingenuo, vederlo in difficoltà in quel modo non faceva altro che farmi sogghignare interiormente.

<<Pensala come vuoi.>> mormorai riappoggiando la testa sul suo petto <<In ogni caso devo ammetterlo, questo tuo carattere lunatico non è poi tanto male.>> Lo sentii sbuffare e mi scappò una risatina. <<Magari potrebbe arrivare a piacermi un giorno.>> A quelle parole trattenne per un secondo il respiro, ed avvertii il suo cuore aumentare di velocità, anche se di poco. Ed ora che gli stava succedendo? Che avevo detto? Alzai di nuovo la testa per capire ed i suoi occhi magnetici mi catturarono al loro interno. Deglutii a fatica e cercai di guardare altrove mentre sentivo le guance riscaldarsi, ma senza riuscirci davvero. Mi spinsi un po' più lontano dal suo corpo, che però si avvicinò al mio come per non far fuggire il calore che si era creato a quel contatto prolungato, e mi ritrovai questa volta con le spalle poggiate al duro tronco e gli occhi incatenati ai suoi. Prima che Galvorn potesse emettere anche solo un suono, però, le urla di Taras, che diceva di muoverci a scendere perché aveva fame, ci riportarono bruscamente al presente. Poggiai nuovamente la testa sul suo torso, stringendo di più la presa per non cadere e cercando invano di impedire alla mia bocca di aprirsi in un mezzo sorriso, mentre l'Elfo riprendeva più rapidamente di prima la discesa verso il terreno erboso. Chissà perché la reazione che aveva avuto, anche se era rimasto completamente immobile e non aveva detto niente, mi aveva fatto battere il cuore a mia volta. Ora il suo era regolare, così come il respiro. Sembrava quasi che il discorso tra noi non fosse mai avvenuto, eppure una parte di me era abbastanza sicura che nella sua mente stesse ripetendo quanto avevo appena detto.

Il resto del tempo rimasto, ben poco a dire il vero, lo passammo parlando del pre-allenamento che appunto avrei dovuto fare, fin quando, secondo entrambi, non sarei stata capace di superare tutte le prove finali senza errori. Il programma consisteva in arrampicate (come quella appena fatta) su diversi tipi d'albero per capirne i pro e contro, corsa lungo tutto il campo circostante, flessioni e tutto ciò collegato e utile per aumentare la mia resistenza, ed infine salti da un ramo all'altro. Quest'ultima era forse la cosa più intrigante e spaventosa che avrei imparato, e già sentivo la paura attanagliarmi le viscere al solo pensare di dover compiere balzi tra gli alberi a più di dieci metri d'altezza. Ad ogni modo, per quel giorno mi sentivo soddisfatta di quanto ero riuscita a fare, e tornai alla Grande Quercia con una fame tale che avrei anche mangiato un serpente allo spiedo. Mi presi del tempo per rinfrescarmi e poi schizzai subito in sala da pranzo, dove trovai solo la Regina, già seduta che sembrava aspettare solo il mio arrivo. L'espressione sul suo volto confermò i miei sospetti sul fatto che fosse al corrente dell'allenamento mattutino, a cui avevo inconsapevolmente preso parte quella mattina, e dopo qualche domanda a cui risposi con entusiasmo sembrò soddisfatta e mi lasciò mangiare in pace. Durante tutto il pranzo non fece che trattenere risate per come mi abbuffavo, e alla fine esplose quando mi girai con la bocca piena per lanciarle un'occhiata sbieca. Forse non avrei dovuto, dopotutto nella scala gerarchica lei stava ben più sopra di me, però più tempo passava e più prendevo confidenza, mi abituavo a vederla ogni giorno vestita con uno splendido abito regale ma semplice, e la consideravo come una donna simile a me con cui poter scambiare confidenze e ricevere consigli. A fine pranzo avevo lo stomaco pieno ed una gran voglia di dormire. Non credevo di aver mai mangiato così tanto neanche quando a cucinare era mia madre, figuriamoci piccoli e sconosciuti Elfi col cappello da cuoco. In quel momento mi tornò in mente l'incontro con giovane chef e mi voltai verso Calime, che con la solita delicatezza si tamponava gli angoli della bocca.

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