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Si bloccò improvvisamente e voltò nella mia direzione, facendomi scontrare contro il suo petto per la rapidità dei movimenti.

<<Tu e Taras vi vedete spesso?>> chiese dal nulla, lasciandomi stupita. Sbattei le palpebre un paio di volte per tornare lucida e rispondergli chiaramente. Con tutto il casino che era successo mi era completamente dimenticata che lui non sapeva niente delle mie lezioni per il controllo del Tocco della Vita.

<<Abbastanza.>> risposi, evitando però i suoi occhi. Lui mi presa da sotto il mento per costringermi a guardarlo, forse per capire se stessi mentendo o no.

<<Abbastanza quanto?>> chiese ancora.

<<Perché mi stai facendo questo interrogatorio?>> domandai io a mia volta. Non capivo il perché del suo repentino cambio di argomento.

<<Voglio saperlo.>> Mi morsi l'interno guancia per nascondere l'ansia che mi stava prendendo. Era arrivato allora, il momento di farglielo sapere. Anche se da una parte mi sentivo sollevata di poterlo informare, dall'altra sapevo che non l'avrebbe presa bene. Posai una mano su quella che mi teneva il mento e l'allontanai delicatamente. Aveva un'espressione sul viso che mi faceva capire già che stava pensando alle peggiori cose possibili. Sospirai e cercai di sorridere per tranquillizzarlo, senza molto successo.

<<Il primo giorno del nostro allenamento è venuto da me per dirmi che non avrebbe assistito, dato che ti considerava più che sufficiente per le mie lezioni.>> iniziai prendendola alla larga <<C'ero rimasta un po' male->>

<<Perché?>> chiese subito interrompendomi. Lo guardai aggrottando di poco le sopracciglia.

<<Era il periodo in cui ancora non ti sopportavo, ricordi? Speravo che con lui al mio fianco sarebbe stavo meglio.>>

<<Quindi preferisci la sua compagnia alla mia??>>

<<No, non ho detto questo! Non trarre conclusione affrettate.>> dissi cercando di restare calma.

<<Non sono conclusioni affrettate, è la verità.>> commentò lui con un'espressione ancora più infastidita di prima.

<<Puoi farmi finire di parlare?>> Dopo qualche secondo di silenzio ed esitazione annuì, incrociando le braccia al petto. <<Fino a quel momento eravamo stati tutti e tre insieme, perciò pensare di separarci mi faceva sentire... ecco... triste. Così gli chiesi un favore.>> Mi presi qualche secondo di pausa per raggruppare tutto il coraggio che avevo, sentendo al tempo stesso il suo sguardo che mi trafiggeva da parte a parte. <<Di insegnarmi a controllare il mio potere.>> Lo sentii irrigidirsi, e guardandolo di sottecchi lo trovai con gli occhi leggermente spalancati e i pugni serrati sotto le braccia.

<<Avresti potuto chiedere a me. Avresti dovuto dirmelo prima.>>

<<Mi stavi già insegnando ad usare arco e frecce, e non volevo darti altro a cui pensare.>>

<<Perché credi che dirmelo ora sia meglio??>> domandò con voce leggermente più alta. Non dissi o feci nulla, rimasi ferma a fissare il terreno scuro ed erboso.

<<... Da quanto tempo?>> chiese poi, dopo alcuni minuti di silenzio totale. Sentivo la pressione addosso e tutto il suo risentimento in quella domanda.

<<Più o meno dallo stesso tempo in cui ho iniziato gli allenamenti con te.>> mormorai con un filo di voce.

<<E vi vedete tutti i giorni?>> Ora nella sua voce c'era una forte nota di accusa. Continuando a tenere la testa abbassata feci cenno di sì. Lo sentii imprecare a denti stretti e poi dire parole nel linguaggio elfico molto simili ad altre imprecazioni. Non riuscivo a muovermi da quella posizione, avevo paura di guardarlo negli occhi e trovarvi rabbia, delusione, incredulità e altri sentimenti negativi. Vidi i suoi piedi allontanarsi dai miei e trovai il coraggio di alzare di poco la testa. Sentii poi il rumore di qualcosa che si spezzata, e la freccia che aveva tenuto finora in mano cadde a terra distrutta in due parti. Mi dava nuovamente le spalle ora, e non la smetteva di avanzare verso un punto lontano dal campo, con la lanterna in mano.

<<Galvorn!>> lo chiamai tentando di riprendere il controllo dei muscoli e corrergli dietro. Si voltò per un secondo verso di me, lanciandomi uno sguardo incandescente che mi congelò di nuovo sul posto.

<<La lezione è finita.>> Fu tutto quello che mormorò, con un tono da brividi, prima di voltarsi nella direzione opposta e andare via a passo pesante. Rimasi immobile, in quel buio illuminato dalla tenue luce della lanterna rimasta e della luna calante, cercando di trattenere i singhiozzi che mi stavano salendo dalla gola. Non dovevo piangere, me l'ero ripromesso quella mattina dopo l'incubo. Ma era difficilissimo restare indifferente al suo comportamento. Avevo sbagliato a non dirglielo, era pur sempre il mio ragazzo, ma la sua rabbia non aveva fondamenta. O sì? Dopotutto Taras mi aveva confessato i suoi sentimenti. E anche Galvorn doveva essersene accorto, era l'unica spiegazione plausibile a quell'atteggiamento arrabbiato. Strinsi i pugni e mi affrettai a raccogliere le frecce per rimetterle nella faretra. Presi anche quella spezzata e posai il tutto nel tronco cavo di un albero lì vicino, dove lo metteva sempre. Col piede urtai la pigna forata, che avevo buttato via. La presi e me la misi in tasca senza pensarci troppo. Volevo provare una cosa. Più velocemente possibile mi ritrovai a camminare sulla strada per la Grande Quercia. Stare da sola lì fuori, con quel freddo e un probabile assassino a piede libero, non era certo la situazione migliore in cui ritrovarsi. Quando vidi i rami della pianta sopra la mia testa tirai un sospiro di sollievo ed entrai subito, evitando per un pelo i Sovrani e scappando nella mia stanza. Chiusi a chiave la porta e mi sedetti stanca sul letto. Sentivo ancora il piccolo groppo in gola premere per uscire, ma usai la tecnica di meditazione che mi aveva insegnato Taras per calmarmi e mettere da parte i pensieri negativi. In quei tempi ne avevo così tanti che la mia mente rischiava di esplodere. Una volta più calma andai in bagno e mi sistemai per la notte, mettendomi il caldo pigiama che avevo sostituito a quello più leggerlo e che tanto adoravo. Presi la pigna dalla tasca della giacca, prima di metterla a lavare, e la portai con me nel letto. Alla luce della candela riuscivo a vedere meglio le macchie di sangue sulla sua superficie. Per la seconda volta un brivido mi attraversò il corpo, e continuai a rigirarmela nelle mani. Distrattamente infilai un dito nel foro, ma era troppo grande per potervi passare. Ovvio, non potevo avere arti stretti come gli stecchi di una freccia. Tolsi il dito e posai la pigna da un lato, spegnendo la luce e ficcandomi per bene sotto le coperte. Mi strinsi i pugni contro il petto, dove il cuore batteva forte procurandomi delle fitte di dolore, per poi lanciare un'occhiata fuori dalla finestra e chiudere definitivamente gli occhi, lasciandomi andare alla stanchezza. L'unica cosa che desideravo era dimenticare quanto successo nelle ultime ore e cadere in un sonno senza sogni.

Al risveglio sentii subito un vuoto dentro il petto, giusto per ricordarmi a prima mattina la litigata col moro. Mi imbozzolai ancora di più nelle coperte, nascondendomi dalla lieve luce che entrava nella mia stanza e coricandomi di lato. Con le palpebre ancora mezze chiuse guardai verso il comodino, ma la pigna che ricordavo perfettamente di aver lasciato lì non c'era. Mi sedetti sul materasso strofinandomi gli occhi e guardando meglio, ma niente. Forse era caduta a terra. Guardai giù e anche sotto il letto, nel caso vi fosse rotolata sotto. Sembrava sparita nel nulla. La tristezza mi assalì, facendomi ributtare di schiena sul morbido cuscino, sospirando amareggiata. Ottimo. Avevo chissà come perso la prova della mia bravura. Che bell'inizio di giornata. Qualcuno bussò delicatamente alla porta, così mi alzai del tutto andando ad aprire. Come mi aspettavo, Taras era lì tutto sorridente e con un vassoio della colazione in mano. Ritrovarmelo davanti mi fece per un attimo venir voglia di sbattergli la porta in faccia. Era per colpa sua se avevo litigato con Galvorn. Scossi leggermente la testa, mentre entrava e chiudevo la porta alle sue spalle. Lui non c'entrava nulla. 'E' colpa mia per non averglielo detto prima.' ragionai. andando a sedermi come un automa al tavolo. Taras aveva iniziato a parlare di chissà cosa, ma non lo stavo a sentire. Mi sembrava di trovarmi sotto una cupola di vetro, insonorizzata e isolata dal mondo esterno. Non smettevo di ritrovarmi davanti agli occhi l'espressione arrabbiata, ferita e giudicatrice del mio (forse ancora) ragazzo. E non riuscivo neanche a smettere di pensare a dove potesse essere finita quella stupida pigna. Non poteva essersi vaporizzata come nei cartoni animati, giusto?

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