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<<Intendeva dire guardia del corpo, Signore. Siamo stati messi a sua disposizione dietro ordine del Re. Ora scusi Signore, ma forse è il momento che la ragazza torni alla Grande Quercia. Sa com'è, deve restare sotto stretta sorveglianza, per evitare che si faccia male. Questi umani...>>disse lasciando l'ultima frase in sospeso, spingendomi al tempo stesso fuori dalla costruzione. Il Generale ci guardò leggermente confuso, ma in poco tempo tornò ad avere un'espressione composta.

<<Certo, gli ordini vanno sempre eseguiti al meglio. Bravo soldato, continua così.>> disse con espressione soddisfatta.

<<Grazie Signore.>> In un attimo ci ritrovammo fuori dalla struttura, e sempre accompagnata da Taras andammo verso il retro dove, effettivamente, trovai una scala di corda e pioli quasi del tutto inutilizzata. Probabilmente per gli Elfi era più semplice arrampicarsi che usare quello scomodo mezzo. Io invece ringraziai Dio per la mia fortuna, dato che non ero stata il massimo quella mattina a scendere, e ci avrei messo un buona mezz'ora per raggiungere terra. Mi voltai verso il biondo, che finalmente mi aveva alleggerito del suo peso.

<<Sarà meglio che resti tra noi questa cosa, o il Generale potrebbe arrabbiarsi. Non gli va a genio che fraternizziamo troppo con i nemici.>> mormorò lui con un sorrisino furbo. Aggrottai la fronte. Di nuovo quella storia degli umani nemici. Iniziavo a pensare che ci fosse sotto qualcosa di molto più grande di quel che sembrava. <<Ora vai, o quel musone potrebbe venire a cercarci entrambi.>> continuò spingendomi gentilmente verso la scala. Mi voltai giusto il tempo di un ultimo abbraccio veloce, poi iniziai la discesa più comoda che avessi mai fatto da quando avevo cominciato gli allenamenti. Una volta a terra salutai con un cenno della mano Taras, che rispose allo stesso modo e scomparve tra i rami. Tirai un sospiro soddisfatto. Anche questa questione era risolta.

<<Alla buon'ora.>> borbottò una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto, trovando Galvorn poggiato al tronco dell'albero con lo sguardo più cupo del solito. Ottimo, sembrava proprio dell'umore per prendersela con me.

<<Scusa, parlare con Taras mi ha preso più tempo del previsto.>>

<<Certo, parlare...>> disse con voce così bassa da sembrare un sussurro. Lo guardai aggrottando di nuovo la fronte (di questo passo mi sarebbero venute le rughe), non capendo il perché del suo tono scettico.

<<Cosa vorresti insinuare?>> Mi fissò per qualche secondo con gli occhi ridotti a due fessure, tanto che un brivido mi percorse l'intero corpo.

<<...Niente. Andiamo, devi tornare al Palazzo.>> rispose infine, evitando l'argomento e staccandosi dal tronco per iniziare a camminare veloce lungo il sentiero. Non si prese neanche la briga di aspettarmi, era come se volesse mettere più distanza possibile tra noi. Una strana sensazione di disagio mi colpì alla bocca dello stomaco e gli corsi dietro, lasciando comunque una buona distanza. Camminammo in silenzio fino alla quercia, e riuscivo ancora a sentire la tensione palpabile tra noi ma non capivo cosa avesse scatenato in lui quell'umore. Possibile fosse solo perché l'avevo lasciato lì ad aspettare? Poteva tranquillamente salire con me, era stata una sua scelta! Una volta di fronte all'immenso ingresso finalmente si voltò e mi rivolse la parola.

<<Torna subito dentro e vedi di non metterti nei guai, non ho altro tempo da perdere con te.>> Le sue parole mi ferirono e fecero arrabbiare, ma mai quanto il tono duro e autoritario che usò. Proprio come se anche solo rivolgermi la parola fosse qualcosa di insostenibile. Strinsi i pugni lungo i fianchi e sentii gli occhi pizzicare, ma non sarei scoppiata a piangere davanti a lui. Non ero una bambina come pensava. Senza rispondergli lo superai velocemente col viso basso, ed entrai dentro lasciando che i soldati all'ingresso chiudessero la porta. Se fosse stato per me l'avrei sbattuta così forte da distruggerla. Non so neanche come, ma mi ritrovai pochi secondi dopo davanti alla porta della mia stanza, che spalancai e richiusi con un tonfo secco. Lanciai malamente le scarpe in un angolo e mi buttai sul letto mentre le lacrime rompevano gli argini e scendevano lungo le guance per bagnare il cuscino. Era troppo tempo che mi tenevo tutte quelle emozioni dentro, e le parole del moro non avevano fatto altro che far traboccare il vaso già pieno fino all'orlo. Smisi di trattenere i singhiozzi che mi graffiavano la gola ed in un attimo scoppiai a piangere senza preoccuparmi che qualcuno da fuori potesse sentirmi. Non m'importava. Ero umana, ero debole e avevo bisogno in quel momento di stare da sola a sfogare la mia rabbia. Quelle lacrime calde che lasciavano i miei occhi non erano altro che la manifestazione di quanto mi sentissi inadatta in quel posto, di quanto avrei voluto scappare e tornare dai miei genitori. Di quanto avrei voluto arrabbiarmi con Galvorn così tanto da poterlo prendere a schiaffi, come invece non riuscivo a fare. 'Perché?' mi ripetei mentalmente più volte 'Perché ogni volta che parliamo va a fine in questo modo, con me che sto male per non essere stata capace di rispondergli e lui che invece rimane immune a tutto quel che mi sputa addosso?? Non è giusto così, non lo è proprio!' Gridai di frustrazione nel cuscino, così forte che per un attimo pensai di aver perso la voce, poi finalmente rialzai la testa e mi sdraiai su un fianco, strofinandomi il viso bagnato di acqua salata con il dorso delle mani. Guardai fuori dalla finestra e lasciai che la luce calda del sole mi colpisse sul viso. Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente per calmare il respiro irregolare. Stavo meglio ora, come sempre dopo aver pianto da sola. Era raro che scoppiassi in crisi isteriche come quella di fronte a qualcuno. Con i miei era capitato giusto un paio di volte, proprio quando non ero riuscita ad arrivare in camera in tempo, ma per il resto avevo sempre gestito la cosa da sola. Era così che preferivo fare: sfogarmi per conto mio e ritrovarmi con gli altri una volta che le acque si fossero calmate. Mi voltai a pancia in su, e tenendo un braccio sugli occhi ancora chiusi ripensai alla mia famiglia, agli amici che avevo lasciato a casa, alla mia vita che era cambiata nel giro di qualche ora a causa di un potere che non sapevo neanche da dove provenisse. Avrei voluto odiarlo, odiare quel che ero capace di fare perchémi aveva strappata alla mia tranquilla esistenza, ma non ci riuscivo. Dentro di me sapevo fosse un potere bellissimo e speciale, perché ridava la vita a ciò che, in altri casi, sarebbe rimasto morto per sempre. Senza capire come, la testa si fece più leggera, i raggi solari più piacevoli e mi addormentai stanca e spossata.

Ero seduta sotto le coperte del mio lettino, fuori dalla finestra vedevo le stelle risplendere in cielo come tante piccole lampadine. Mi voltai quando la porta si aprì e mio padre entrò nella stanza come ogni sera. Sorrisi e mi sistemai meglio sul cuscino, facendogli spazio per sedersi accanto a me. Quella sera mi raccontò una storia nuova, diversa da Biancaneve o Cenerentola, che parlava di luoghi lontani dove la natura regnava sovrana. Mi piacque così tanto che quando terminò lo pregai di raccontarmela ancora, ma non riuscii a convincerlo neanche mettendo il broncio. Al contrario, scoppiò a ridere dicendomi che se non mi fossi messa subito a dormire la mamma si sarebbe arrabbiata molto. Mi arresi e sdraiai abbandonando la testa sul cuscino, lasciando che papà mi accarezzasse e baciasse sulla fronte come sempre. 

Era diverso però, il suo tocco era più ruvido e caldo quando mi toccò leggero la guancia, e spostai il viso di lato mugugnando. Anche la luce era diversa da quella della mia lampada da comodino, più forte e luminosa anche attraverso le palpebre chiuse. Alzai una mano per poggiarla su quella di papà, ma il suo tocco scomparve così velocemente che riaprii subito gli occhi. Mi ci vollero dieci secondi per mettere a fuoco la figura di fronte a me: capelli lunghi e scuri, pelle abbronzata e occhi neri come una notte senza luna. Decisamente non era mio padre. Sobbalzai e mi allontanai da Galvorn, seduto al mio fianco, che mi fissava sorpreso e immobile.

<<Che diavolo ci fai nella mia stanza?!>> cercai di urlargli contro, solo che la voce mi uscì gracchiante e roca.

<<Hai pianto?>> chiese lui a sua volta, ignorando le mie parole. Merda, dovevo avere ancora una faccia sconvolta. Mi alzai di scatto dal letto ed andai in bagno, chiudendo la porta a chiave. Non volevo vedere la sua faccia o anche solo sentire la sua voce, le sue parole facevano ancora male.

<<Esci da lì.>> disse a voce alta bussando dall'altra parte della porta.

<<Scordatelo!>> risposi poggiando le mani sul lavabo e guardandomi allo specchio. Sembrava avessi appena smesso di piangere, gli occhi erano rossi e ancora lucidi e le guance umide di pianto.

<<Almeno rispondi alla mia domanda.>> continuò smettendo di bussare. Feci finta di non sentire e mi sciacquai la faccia per darmi un aspetto migliore. Sembrare uno zombie non era una delle cose che preferivo.

<<Vattene.>> mugolai quando la voce riprese ad avere un tono più controllato. Sentivo la gola secca e graffiata. Mi sciolsi i capelli ancora legati e presi due respiri profondi per calmarmi. Avevo già sprecato troppa rabbia e fiato verso quell'idiota.

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