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Sangue. Sangue dappertutto. Non sapevo dove mi trovavo o come ci fossi finita, sapevo solamente che le mie mani, i miei vestiti, persino il mio viso erano sporchi di sangue. Inginocchiata sulla terra nuda e fredda, senza vita, tenevo tra le braccia il corpo di Elanor, pallida e con gli occhi spalancati. I capelli, sempre splendenti e ordinati, era sparpagliati intorno al suo viso come paglia secca. Vicino le mie gambe stava un coltello affilato e sporco dello stesso sangue che dominava su tutto. Intorno a me c'era solo buio. Chi si sarebbe mai avvicinata a un'assassina, dopotutto?

Mi svegliai di soprassalto, stringendo ancora le coperte tra le dita come stavo facendo un attimo prima con quel corpo. Mi alzai velocemente dal letto e corsi in bagno, poggiandomi contro il bordo freddo del lavandino e prendendo respiri profondi per calmarmi e scacciare il senso di nausea. Il cuore batteva così incontrollato che rischiava di uscire fuori da un momento all'altro, e lo specchio mi rifletteva con un'espressione sconvolta, gli occhi rossi e bagnati e la pelle pallida. Strinsi di più il bordo e riabbassai la testa per scuoterla, cercando di mandar via l'incubo terrificante dalla mente. Era già passato un mese da quando avevamo rischiato di morire, e quella stessa sera avevo avuto il mio primo incubo. Era stato così intenso, inaspettato e terrificante che mi ero svegliata urlando e piangendo, ed ero corsa in bagno a vomitare. Per fortuna ero da sola, dato che Galvorn aveva avuto da fare con il resto del gruppo, altrimenti avrebbe fatto una tragedia sul fatto di farmi mollare gli allenamenti. Non che non ci avesse provato il giorno dopo appena incontrati, ovvio, ma lasciarmi intimidire in quel modo non era nelle mie intenzioni. Avevamo cambiato posto, per evitare appunto che la cosa si ripetesse, e per fortuna nessuno aveva ancora scoperto il nostro nuovo punto di allenamento. Questa però non era certo una notizia positiva, dato che il colpevole non era stato ancora trovato. Il moro mi aveva detto di aver fatto delle ricerche per conto suo, ma non era emerso niente che già non sapessimo: di sicuro uno della loro razza, che se la sapeva cavare con l'arco e che, appunto, aveva usato una freccia talmente semplice da poter essere fatta anche da un bambino. Aveva poi insistito per farlo sapere ai sovrani, ed avevo finito col promettergli che gliene avrei parlato. Tuttavia ancora non avevo trovato il modo e le parole giuste per farlo, perché ero sicura al 100% che dopo di ciò non mi avrebbero più fatta mettere piede fuori dalla stanza, e ad un loro ordine non avrei potuto contestare così facilmente. Come biasimarli, dopotutto. Avrei fatto lo stesso, se una persona con un potere importante come il mio fosse stata in pericolo di vita. Mi asciugai le lacrime col dorso della mano e tornai in stanza, sedendomi sul letto e dando un'occhiata al cielo fuori dalla finestra. Faceva freddo, eravamo quasi a metà ottobre ormai e negli alberi di certo non avevano il riscaldamento. Alzai una mano iniziando ad osservarla da ogni prospettiva, con sguardo perso, vedendo quasi le macchie di sangue scure su di essa. Non mi capitava troppo spesso di avere questo incubo, una o due volte a settimana al massimo, ma non importava che ci avessi fatto l'abitudine, era lo stesso orribile. Le vittime cambiavano sempre, così come le armi del delitto. Avevo visto Galvorn per primo, infilzato dalla stessa freccia che ci aveva sfiorato. Addirittura nel sogno avevo sentito un urlo rimbombarmi nelle orecchie, per poi svegliarmi e scoprire che era il mio. E poi a seguire mi si erano presentati davanti scene che preferivo non ricordare in quel momento. Era ancora notte fonda, così con un sospiro stanco mi misi sotto le coperte e chiusi gli occhi, cercando di riprendere sonno. Quando stavo in quel modo, quando mi sentivo vulnerabile e triste, mi piaceva stare da sola, per non dover far pesare agli altri la mia solitudine. Eppure in quel momento l'unica cosa che avrei desiderato erano le braccia calde e forti di Galvorn e la sua voce sussurrata che mi tranquillizzava. Riuscivo quasi a sentirla risuonarmi nelle orecchie, mentre chiudevo gli occhi e mi lasciavo avvolgere nuovamente dall'oscurità.

Qualcuno stava bussando alla porta. O almeno credevo. Non ne ero sicura, dato che tenevo ancora gli occhi chiusi cercando di ignorarlo. I colpi però continuavano imperterriti. Se fosse stato Galvorn sarebbe già entrato, quindi doveva per forza essere qualcun altro.

<<Avanti!>> gridai allora da sotto le coperte, nonostante non avessi tutta questa voglia d'incontrare gente dopo quella nottataccia. Sentii la porta aprirsi e chiudersi, e passi leggeri raggiungere il mio letto. Poi avvertii il materasso abbassarsi quel tanto che bastava per sostenere un corpo maschile. Sapevo chi fosse, l'avevo capito dal modo in cui si era seduto e da come, adesso, mi stava picchiettando sulla testa.

<<Hai intenzione di restare qui ancora per molto?>> chiese. Mugolai affermativamente, sentendolo quindi sospirare. La sua mano sparì da sopra la mia testa, per poi afferrare all'improvviso il bordo delle coperte e tirarle via, scoprendomi alla luce del sole. Mi lamentai con gli occhi semichiusi, infastidita dalla sua insistenza, cercando con una mano di riprendere le lenzuola calde. Lo sentii ridacchiare e a quel punto aprii di più gli occhi per incontrare i suoi, allegri e fissi su di me.

<<Lasciami in pace Taras.>> borbottai tentando ancora di rimettermi al caldo.

<<Neanche per sogno, abbiamo da fare.>>

<<Non possiamo rimandare a questo pomeriggio?>>

<<No. Muoviti.>> Sbuffai e rinunciai a riprendere la mia morbida copertina, per girarmi dal lato opposto ed ignorarlo. Vi riuscii per i primi cinque secondi, poi il suo fiato caldo contro il mio orecchio mi fece rimettere all'erta e voltare nella sua direzione, allontanandomi al contempo. Era decisamente più vicino di prima, e mi fissava con lo stesso sorriso un po' più malizioso. Teneva le mani ai lati della mia testa, per sostenersi e non farmi scappare. Deglutii e mi allontanai ancora di più da quel sorriso magnetico e quegli occhi azzurri.

<<Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, Lexy.>> mormorò fissandomi dritta negli occhi. Volevo puntarli da qualche altra parte, ma non avevo spazio sufficiente per farlo. <<Devo provare a persuaderti in qualche modo?>> Feci subito no con la testa, facendolo sorridere divertito. Si avvicinò di più per darmi un bacio sulla guancia, facendomi di conseguenza arrossire leggermente, per poi allontanarsi e rimettersi in piedi, lasciandomi spazio sufficiente a riprendere fiato. Quei momenti intensi appena sveglia non erano proprio il massimo per il mio cuore.

<<Avanti allora, ti do dieci minuti per renderti più carina di quanto già non sei, dopodiché ti prenderò di peso e ti trascinerò in palestra, a costo di lasciarti in pigiama.>> disse con lo sguardo più determinato che gli avessi mai visto. Saltai su come una molla e presi al volo le prime cose che trovai, prima di chiudermi in bagno. Nonostante le sue "minacce" non riuscivo a togliermi il sorriso dal volto. Lui, come c'era da aspettarsi, era stato il primo a fiondarsi il giorno dopo l'incidente nella mia stanza, con un'espressione così ansiosa e preoccupata, come se si aspettasse di trovarmi in punto di morte, che mi aveva fatto ridere. Non aveva saputo chissà che in realtà, solo che avevo rischiato di infortunati gravemente. Galvorn non aveva voluto dirgli nulla, a quanto pareva. Certo, il mio comportamento l'aveva fatto rimanere male, però il tutto era durato all'incirca cinque minuti. Poi mi aveva stretta tra le braccia in un abbraccio soffocante, mentre diceva tutto quel che gli passava per la testa per farmi tranquillizzare. E la cosa, anche se in quel momento non ero agitata, aveva funzionato in qualche modo. Avevo passato il resto della giornata in sua compagnia a ridere e scherzare, dimenticandomi completamente di quanto successo. Quando poi la sera se n'era andato, però, i pensieri e le preoccupazioni erano tornate alla carica, riempiendomi la testa di presagi spaventosi.

<<Sbrigati o giuro che entro in bagno con te.>> mi gridò dall'altra parte della porta, risvegliandomi dal mio stato di trance momentanea davanti lo specchio. In tutta fretta mi finii di infilare la maglietta e uscii aggiustandomi un'ultima volta i capelli in una coda alta. Non avevo tempo per rimuginare ancora su pensieri negativi, dovevo pensare al mio allenamento speciale. Dopo un cenno di assenso del biondo, seguito da un sorriso, ci dirigemmo nella palestra appositamente messa a disposizione per chi, in casi speciali, non aveva la possibilità di allenarsi all'aperto. Era situata dentro la Grande Quercia, anzi, sotto di essa a voler essere precisi, e ne ero rimasta molto stupita. Le radici della pianta si diramavano verso destra e sinistra, lasciando stranamente un ampio spazio di terreno duro al centro, che era stato successivamente scavato e adibito, appunto, a stanza d'allenamento. Era più piccola del campo principale, ovvio, ma molto più fornita di oggetti utili ad allenamenti individuali o collettivi. C'era anche una piccola parte dedicata specificatamente a quelli che, come me, in passato avevano deciso di utilizzare il loro potere. Entrammo dalla porta principale, come sempre sorvegliata da due massicce guardie, ed andammo direttamente al solito punto d'inizio. Taras mi aveva consigliato di fare un po' di meditazione prima di ogni prova, per eliminare pensieri superflui e liberare la mente facilmente. Mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento duro in pietra levigata e chiusi gli occhi, ignorando i brividi di freddo che partivano da esse.

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