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Passai le mani su tutto il legno lucido e modellato, fino a bloccarmi su una forma strana esattamente sul bordo destro. Non faceva parte dei motivi decorativi, aveva una forma più appuntita e piccola. Vi poggiai un indice sopra, percorrendone il contorno, cercando di capire di cosa si trattasse, e come se avessero acceso una lampadina, nella mia mente il simbolo si trasformò in una parola. Sobbalzai leggermente e allontanai la mano con uno scatto, quasi mi fossi bruciata. Feci un passo indietro, continuando a mantenere gli occhi fissi su quel simbolo. All'improvviso non m'importava più tanto entrare in quel posto. Diedi un ultimo sguardo alla porta in tutta la sua grandezza, prima di voltarmi e tornare a passi veloci verso la mia camera. Quello che era appena successo... non riuscivo a spiegarmelo, mi aveva spaventata per la sua brusca apparizione. Ero certa di non aver mai visto un simbolo del genere nei libri mitologici in camera mia, a St. George, eppure in quel momento aveva subito preso un significato ben chiaro, come un flashback di qualcosa che avessi già visto in passato. Nella mia testa il simbolo si era illuminato, lasciando il posto ad una parola latina.


Liber. Libero.


All'ora di cena ero già seduta a tavola in compagnia dei due Sovrani, che discutevano sugli affari del villaggio e altre cose che in quel momento non attiravano il mio interesse. Non avevo toccato quasi per niente cibo, avevo poca fame e non riuscivo a capire se fosse per quanto successo nel pomeriggio o per l'allenamento privato con Galvorn, che avrei dovuto affrontare di lì a poco meno di un'ora. Tenevo gli occhi fissi sul piatto, giocherellando con il pezzo di trota arrostita, quando sentii chiamare il mio nome dalla voce della Regina. Alzai il viso incontrando i suoi occhi blu e preoccupati, che mi guardavano.

<<Qualcosa non va, cara? Non ti senti bene?>> Scossi lentamente la testa, chiedendomi se dovessi dirgli o no quel che era successo. Avevo bisogno di dirlo a qualcuno, ma al tempo stesso non volevo metterli in agitazione. E se fosse stata solo la mia immaginazione? Si sarebbero preoccupati per nulla. Meglio tenerlo per me.

<<No tranquilla, solo non ho tanta fame.>>

<<Forse sei nervosa.>> si aggiunse Handir, girando la testa nella mia direzione <<Dopotutto stasera finalmente inizierai con il corso speciale che tanto desideravi.>> Posò gentilmente una delle sue mani dalla pelle chiara sulle mie, e mi fece un sorriso rassicurante. Cercai di ricambiare, anche se con scarsi risultati, prima di rispondere.

<<Sì, dev'essere per questo.>> Rimasi in loro compagnia per qualche altro minuto, prima di congedarmi e andare in camera a prepararmi. Mi lavai e misi addosso il solito pantalone militare, abilmente rattoppato dato che dall'ultimo allenamento si era ridotto parecchio male, e la maglia rosso scuro a mezze maniche, il tutto completato dalla giacca di tuta ora molto più pulita. Dovevo ammettere che, nelle mattine in cui l'aria aveva raggiunto temperature non proprio elevate, il mio corpo si era pian piano abituato ed ora mi sentivo più resistente. La infilai lo stesso, lasciandola aperta, completando poi il tutto con le scarpe e una coda alta. Mancava ancora parecchio prima dell'ora prestabilita, così aprii l'armadio e tirai fuori una delle frecce dalla faretra. Me la passai tra le dita, beandomi del suo perfetto design, perdendo forse un quarto d'ora a far finta di lanciarla e colpire il bersaglio prima di piegarmi nuovamente e rimetterla a posto. Rimisi tutto al sicuro e chiusi l'armadio un attimo prima che qualcuno bussasse alla porta. Aprii e mi guardai intorno, ma senza vedere nessuno nelle vicinanze. Forse me l'ero immaginato. Chiusi di nuovo e feci un paio di passi, prima che qualcuno bussasse nuovamente. Cos'era, uno scherzo? Andai ad aprire irritata, parlando ancor prima di vedere se ci fosse qualcuno o no.

<<Insomma, la vuoi smettere di->> mi fermai quando mi ritrovai davanti un petto muscoloso e due occhi profondi.

<<Di fare che?>> chiese Galvorn inarcando un sopracciglio.

<<Di bussare alla porta e scappare via.>> finii incrociando le braccia al petto. Mi guardò con una strana espressione, un misto tra incredulità e divertimento.

<<Mi credi un bambino di cinque anni?>>

<<Forse. A volte ti comporti come tale.>>

<<Senti chi parla, quella che ha paura di un po' di dolore.>> Strinsi gli occhi in due fessure minacciose.

<<E' successo solo la prima volta con quelle stupide pinzette.>> Lui ghignò e si voltò senza dire nulla, facendomi solo segno di seguirlo. Così feci, e restammo in silenzio durante tutto il tragitto dalla Grande Quercia al campo d'addestramento. Taras doveva averlo già informato della sua decisione, e a lui sembrava non facesse né caldo né freddo. Avevo avuto ragione già dall'inizio allora, era un tipo a cui piaceva lavorare da solo. Tuttavia il solo pensiero di dover fare tutto quel che mi diceva mi stava già facendo pentire di aver acconsentito tanto facilmente. Era strano, si comportava come se il litigio di quella mattina non fosse mai accaduto e non sapevo se approfittare di questa sua strana tranquillità o stare in guardia. Per la prima volta da quando mi ero trasferita in quel posto, trovai il campo completamente deserto. Attraversai con titubanza il perimetro, chiudendomi la felpa per l'aria fredda che tirava essendo, completamente esposti. Mi tornò in mente quando il moro mi aveva detto di non farlo se non volevo morire. Il solito esagerato. Seguii la sua figura scura fino al lato opposto del cerchio, dove c'era un bersaglio piantato a terra ed a qualche metro di distanza qualcosa poggiato tra l'erba. Era difficilissimo vedere dove mettevo i piedi in quella oscurità, ed il fatto che Galvorn vi si mimetizzasse alla perfezione non era di grande aiuto. Affrettai il passo e lo raggiunsi una volta fermatosi vicino agli oggetti per terra, che si rilevarono essere un arco ed una piccola faretra con qualche freccia dentro. Non erano neanche lontanamente belle come quelle nella mia stanza, ma per l'allenamento mi sarei accontentata.

<<Non riesco a vedere nulla.>> mi lamentai, impaziente di iniziare <<Non è che potresti accedere una lampadina o qualcosa del genere?>> Lo sentii sbuffare una risata, poi i suoi passi si allontanarono e venni presa dal panico. Mi stava abbandonando lì, in quel buio fitto? I miei pensieri negativi vennero eliminati da una lanterna, che si avvicinava ed emanava una luce abbastanza forte da illuminare quasi due metri intorno a noi, oltre al suo possessore. Galvorn tornò al mio fianco, sistemandola ai nostri piedi, e  accendendone subito un'altra che non avevo notato, per metterla vicino al bersaglio. Le fiamme delle candele tremolavano dentro i contenitori di vetro e ferro, e la faccia illuminata del moro metteva più paura del solito. Una volta tornato al mio fianco prese l'arco e me lo porse, sbloccandomi così dal momentaneo senso di inquietudine che avevo avvertito. Lo presi e lo studiai un attimo: era piccolo e rovinato, con troppi decori per i miei gusti, ed il legno con cui era stato costruito era scuro e più pesante di quello in camera mia.

<<Non mi piace.>> affermai riportando gli occhi sul volto del mio "maestro", che alzò i suoi al cielo notturno prima di rispondere.

<<Era il più adatto a te che potevamo darti. Dovresti ringraziarmi per essere riuscito a trovarne uno in così poco tempo, invece di lamentarti.>>

<<Grazie.>> dissi con sarcasmo, facendolo probabilmente irritare di più. Alzai l'arco e tentai di tendere il filo, che per lo meno risultò molto più lento e quindi facile da utilizzare rispetto all'altro. Galvorn iniziò a spiegarmi come e a che altezza dovevo tenere l'arma, quanto piegare il gomito e da che punto prendere il filo per tenderlo e avere così una mira più precisa. Dovevo ammetterlo, ne sapeva davvero parecchio sugli archi, e la lezione stava andando abbastanza bene, o almeno era ciò che avevo pensato, finché non si era chinato per prendere una freccia e darmela, sotto il mio sguardo interrogativo.

<<Vediamo di cosa sei capace.>> ghignò facendo un cenno al bersaglio. Distava circa cinque metri da noi, non era tanto rispetto a quanto mi ero aspettata, ma l'ansia di poco prima era ritornata a farmi dubitare delle mie capacità, quasi del tutto inesistenti a dirla tutta. Deglutii e mi misi in posizione, come mi aveva appena detto il moro, tendendo il braccio di fronte a me. Poggiai la freccia sulla corda, prendendo la mira come meglio potevo in quella poca luce che ci circondata, ma l'ansia mi aveva iniziato a far sudare le mani e quindi la freccia partì prima ancora che fossi pronta, facendo a malapena un metro prima di cadere a terra. Il più grande ovviamente scoppiò a ridere di fronte alla mia incapacità, tanto forte che pensai avrebbe svegliato qualcuno nel villaggio.

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