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Leggera. Mi sentivo leggera, come se fluttuassi nel nulla. Non capivo dove fossi né da quanto tempo mi trovassi lì, circondata dal buio, ma non m'importava. Sarei rimasta in quel modo anche per sempre. Poi però, come qualunque bella sensazione di questa vita, anche il mio fluttuare diminuì, ed iniziai a distinguere ciò che stava a contatto con la mia pelle. Qualcosa di morbido e comodo premeva contro la mia guancia, forse un cuscino. Profumava di erba fresca. Cercai di voltarmi e ci riuscii, con lentezza, trovandomi questa volta di fronte ad una luce accecante. Strinsi di più le palpebre ancora chiuse e pesanti, e tornai nella posizione iniziale. Decisamente meglio. Ormai però la sensazione di leggerezza era completamente sparita, sentivo bene il mio corpo riprendere il controllo del proprio peso, e svogliatamente mi misi a sedere, alzando di poco le palpebre. Vedendo tutto sfocato, mi strofinai gli occhi coi palmi delle mani e riprovai. Come immaginavo ero su un letto, simile a quello della mia stanza ma molto più essenziale e con lenzuola bianche. Le pareti intorno a me erano di un leggero color vaniglia, e non c'era nulla a decorarle a parte dei disegni, fatti sicuramente da qualche bambino. Un paio di sedie stavano vicino ad un piccolo tavolo quadrato, mentre altre due erano vicino al mio letto. Solo allora mi accorsi di essere sola, in una stanza a me sconosciuta. Per quanto carina potesse essere, non mi piaceva quella sensazione di estraneità e volevo subito uscire da lì, o almeno trovare qualcuno a cui chiedere dove diavolo fossi. Misi i piedi scalzi per terra, rabbrividendo, e cercai di alzarmi, senza successo. Sentivo le gambe intorpidite e doloranti, incapaci di reggere il mio peso. Mi passai la mano sul viso, notando subito dopo che quella destra era fasciata e ripulita da qualunque scheggia o traccia di liquido rosso scuro. Concentrandomi per un attimo su me stessa, notai che i miei comodi vestiti erano stati rimpiazzati da una specie di tunica morbida e larga, dello stesso colore delle pareti, e legata alla vita da una sottile cintura in pelle. Osservai meglio braccia e gambe, notando piccoli medicamenti simili a quelli che Taras mi aveva fatto ai piedi, quando ci eravamo conosciuti. Di nuovo concentrata sui miei amici tentai nuovamente di alzarmi, e con difficoltà vi riuscii. Azzardai qualche passo avanti, ma le gambe iniziarono a tremare e presto mi ritrovai aggrappata alla spalliera di una delle sedie lì vicino. Sbuffai, odiavo essere così debole quando dovevo fare qualcosa d'importante. Stavo già per provare una seconda volta a camminare, quando un rumore di porta alle mie spalle mi fece girare di scatto. Un paio di occhi scuri come la notte mi osservavano, dal loro metro e ottanta di altezza, straniti di vedermi. Forse non si aspettava di trovarmi in quell'assurda posizione appena sveglia. Galvorn si riprese velocemente e mi venne incontro, prendendomi da sotto le braccia come una bambina e facendomi sedere nuovamente sul letto. Il tutto senza dire una parola. Si sedette alla sedia alla quale ero rimasta aggrappata cinque secondi prima, e mi scrutò con attenzione, dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Come sempre mi sentii in soggezione ed abbassai gli occhi, aspettando che lui rompesse il silenzio. Cosa che fece circa due minuti dopo.

<<Sei sveglia, finalmente. È già pomeriggio.>> Alzai gli occhi di scatto a quelle parole. Come pomeriggio? Avevo praticamente dormito per mezza giornata?

<<Cosa...>> tentai di dire, ma la voce mi uscì roca. Erano ore che non parlavo, dopotutto. Tossii un paio di volte e riprovai <<Cosa è successo?>>

<<Intendi dopo la stupidaggine che hai fatto?>> chiese ironico, ma senza la minima traccia di un sorriso. Annuii riabbassando gli occhi, non riuscivo a sostenere il suo sguardo in quel momento. <<Sei svenuta e ti abbiamo portata qui. Taras e gli altri medici si sono occupati di te, ha detto che l'impatto ti aveva incrinato una costola e sono riusciti a metterla a posto prima che ferisse qualcos'altro nel tuo corpo. Non era niente di grave, ma non credo che ti convenga riprovarci una seconda volta.>>

<<Quindi mi.. mi hanno operata?>> chiesi con un filo di voce. Ero rimasta sconvolta solo sentendo la parola "costola incrinata", pensare che poi mi avessero dovuta aprire in due per rimetterla al suo posto mi fece rabbrividire. Lui sbuffò scocciato.

<<Non ce n'è stato bisogno. Una dei medici è una curatrice.>>

<<Una cosa?>>

<<Curatrice. Una persona dotata di poteri curativi. Usa la magia per modificare le condizioni fisiche delle persone.>> Mi guardò attentamente, studiando la mia espressione sorpresa. <<Non ne hai mai sentito parlare?>>

<<No- cioè, sì... credevo fossero una razza estinta.>> sussurrai.

<<Beh noi ne abbiamo una, ed è la migliore per tua fortuna.>> ghignò lui, facendomi alzare gli occhi al cielo. Ora che ci pensavo, perché Taras non era qui con noi?

<<Taras->>

<<Tornerà tra poco.>> m'interruppe lui, anticipando la mia domanda <<Stava cercando un modo per far mantenere il segreto di tutto ciò agli altri medici del villaggio, sennò la voce potrebbe raggiungere presto anche le orecchie del Re.>> A quella frase rabbrividii. Meglio lasciarli all'oscuro di tutto per ora. Galvorn si accorse del mio leggero tremare e si alzò, raggiungendomi sul letto e sedendosi al mio fianco.

<<Hai freddo?>> chiese stranamente apprensivo. In effetti la tunica era di seta, e mi lasciava scoperte completamente le braccia, e le gambe fino a metà coscia, ma non era per questo che continuavo a tremare. O almeno non solo. Prima che potessi rispondere si avvicinò di più e mise una mano sulla mia fronte, come per controllare se avessi la febbre. Trattenni il respiro, sorpresa da quel gesto. Voglio dire, pensavo fosse ancora arrabbiato con me per essermi quasi ammazzata, non mi aspettavo certo la sua preoccupazione. Lo fissai negli occhi, neri col quelle pagliuzze dorate che avevo scoperto di recente, e lui mi restituì lo sguardo. Si allontanò dopo un minuto di qualche centimetro, ma senza togliere la mano o gli occhi dal mio viso.

<<Non hai la febbre, e le medicine stanno facendo effetto.>> mormorò. Spostò la mano sulla mia guancia, e sentendo nuovamente il suo tocco delicato sulla mia pelle ora accaldata rabbrividii nuovamente. Non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi, sembravano due calamite che mi attraevano. Deglutii a vuoto e abbassai gli occhi sulle sue labbra, così sottili eppure invitanti, e mi morsi il labbro inferiore mentre diversi pensieri mi attraversavano la mente. Chissà se erano anche morbide, o in grado di far uscire parole dolci oltre a sgridate e tutto il resto. Rialzai gli occhi nei suoi, trovandolo intento a fissarmi il labbro ancora intrappolato tra i denti, e si avvicinò impercettibilmente a me. Non capivo cosa fosse quella strana attrazione che sentivo improvvisamente, ma era potente e difficilissima da controllare. Che le medicine mi avessero stordita fino a quel punto? O era colpa dell'impatto troppo forte? Magari avevo anche un piccolo trauma cranico in quel momento.

<<Lexy...>> sussurrò lui, con quella voce roca che gli avevo sentito usare così spesso di recente. Tornò a guardarmi negli occhi, e non potei evitare di deglutire nuovamente. Ero nervosa ed eccitata al tempo stesso. Non sapevo cosa fare, e lui si era di nuovo avvicinato al mio viso, lasciando pochi millimetri a separare i nostri nasi. Stavo per chiudere gli occhi e lasciare che accadesse quel che doveva accadere, quando qualcuno bussò alla porta. Mi ritrassi di scatto e guardai verso la porta, completamente rossa d'imbarazzo. Subito dopo entrò Taras, che mi rivolse un sorriso splendente appena mi vide sveglia, senza notare il mio strano colorito. Galvorn, che nel mentre era tornato a sedersi sulla sedia, senza dire una parola si alzò e uscì dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé. Il biondo aggrottò la fronte in direzione della porta ormai chiusa, poi scosse la testa e mi si avvicinò tranquillo.

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