Amori a palazzo

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Parigi era una grande città, ma nonostante questo non c'era spazio per i Myrmidon. Solo lo Stradivari era stato lasciato nel giardino del palazzo, come a fare la guardia, mentre tutti gli altri erano stati sistemati in una serie di capannoni di periferia, in una zona che i soldati del re presidiavano.

Valerius, ovviamente, aveva cominciato rapidamente a odiare la città. Il re non esitava a coinvolgerlo nelle sue pantomime con i cosiddetti personaggi importanti, sfoggiandolo in una ridicola divisa militare che lo faceva sentire un pagliaccio. Anche lontano dai momenti mondani non riusciva quasi mai a starsene per conto suo e, soprattutto, non poteva lavorare sulle macchine.

Alla fine, in qualche modo, era riuscito a requisire per sé una sala non utilizzata del palazzo e lì vi si era rinchiuso, letteralmente a chiave, con tutta la carta e le matite che era riuscito a provare. Era tornato a lavorare su carta alle nuove evoluzioni del Danse Macabre, molti sospettavano si stesse dedicando alla sua misteriosa testa.

Naturalmente non aveva orari. Aveva sempre dormito pochissimo e l'atmosfera eccitata di Parigi lo faceva dormire ancora meno. Per questo gli capitava di trovarsi a notte fonda ancora intento a disegnare, alla luce di qualche candela, o anche solo a camminare avanti e indietro per la stanza, fissando il cielo scuro dalla grande finestra.

Una notte, mentre era intento in alcuni complessi calcoli, il ticchettare della chiave nella toppa della sua stanza si udì distintamente, nel silenzio assoluto. Non sapeva che altri avessero la chiave di quella porta e comunque non vedeva per quale ragione qualcuno dovesse aprirla. Per precauzione abbrancò la pistola che, senza un motivo particolare, teneva sempre presso di sé.

La porta, sfortunatamente, era lontana da tutte le candele che aveva acceso. Vide quindi soltanto una figura non molto grande scivolare attraverso la porta scostata, cercando di fare meno rumore possibile. Le puntò contro l'arma. "Germaine?" chiese.

"Le sembro un ragazzino, Valerius?" gli disse Francine, venendo alla luce. Era eterea, avvolta in un'ampia camicia da notte bianca, che la faceva sembrare una nuvola.

"Madamoiselle?" chiese dubbioso il ragazzo, mentre lei gli veniva incontro. "Cosa ci fa qui?"

"Non avevo sonno e volevo verificare una diceria."

"Quale diceria?"

"Che l'inglese pazzo invece di dormire compone poesie per il diavolo."

Valerius stava per ribattere, ma ormai Francine gli era a ridosso. Lui non riusciva a distinguere bene i dettagli di lei alla luce delle poche candele, ma il suo profumo di pulito, così diverso dall'odore metallico che aveva sempre, lo confuse.

"Lei crede a queste dicerie?" gli chiese lui, ormai apertamente imbarazzato.

"Renderebbero tutto più divertente, a dire il vero" rispose lei. Poi si tese in avanti a baciarlo.

Valerius, per un attimo, si ritrasse. Ma si ritrasse come incuriosito, come se la parte più razionale di lui volesse vedere com'era fatta una ragazza che desiderava baciarlo. Poi il sangue ebbe il sopravvento e allora lasciò che le sue labbra si avvicinassero. Appena furono a contatto, Francine gli si strinse e cominciò a premersi contro di lui con forza, quasi con rabbia. Lo lasciò andare solo dopo alcuni minuti.

"Il suo comportamento è... inatteso" provò a dire lui. Francine non gli si era staccata completamente, gli teneva ancora le mani sui fianchi. "Inatteso? Le devo ricordare, Valerius, che sono stata cresciuta da mio fratello dall'età di sei anni, praticamente sempre a stretto contatto con i soldati e le caserme. Vi sono molte cose da imparare in un ambiente del genere."

Finalmente Valerius sorrise. "La spada immacolata di Francia."

"Basta non permettere alle macchie di posarsi, Valerius." E lo baciò ancora.

Cominciarono a muoversi assieme, piccoli passi, come un ballo popolare, sempre stretti, finché non finirono accanto alla fiamma delle candele. Allora Valerius si fermò a guardare il volto di Francine. La ragazza era raggiante, ma non per quello che stavano facendo. Aveva realizzato il suo sogno, era nel luogo che voleva, aveva il rispetto che meritava. Probabilmente gettarsi addosso a lui era un atto che la gioia di quei giorni le aveva permesso di fare, riempiendola fino all'orlo di energie.

Ma proprio mentre la guardava, così felice, Valerius vide anche altro e ciò lo ferì. Perché se fosse stata solo l'intelligenza, il suo dono, probabilmente non avrebbe avuto la vita straordinaria che stiamo narrando. Quello che rese Valerius incredibile, quello che lo condannò a una vita di sofferenza, fu la sua lungimiranza. Il vedere ciò che sarebbe successo e valutare ogni atto in funzione delle sue conseguenze. Cercò di staccarsi da Francine.

"Perché?" si limitò a lamentarsi lei, tenendolo a sé.

Molti vi diranno che quella notte Valerius già sapeva cosa avrebbe fatto. E allora molti vi diranno che per questo, il suo indugiare con Francine Santaorche fu un atto spietato e crudele. Non sono giunto a questa conclusione. Io credo che in quel momento, dopo tante peripezie, Valerius abbia avuto pietà di sé stesso e si fosse lasciando andare a un momento di ignoranza e oblio. Un momento da persona normale.

Quindi, per questo motivo, la baciò ancora lungamente.

Poi, quando furono nuovamente soddisfatti del bacio, sorrise alla ragazza che teneva tra le braccia. "Non permetterò alla vostra avventatezza di farvi compiere errori irreparabili." le disse.

"Quindi?" fece lei, con un velo di preoccupazione.

"Quindi, considerando che abbiamo le uniche due copie della chiave di questa stanza, vediamo di usarle prima di fare altro."

Valerius Demoire - vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora