3. PER ORDINE DI SIR MALROK

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I giorni che seguirono furono difficili, per Erya.

All'apparenza nulla era cambiato: la ragazza si alzava sempre all'alba per dar da mangiare agli animali e pulire la stalla, poi si recava nei campi assieme ai genitori e rientrava solo al tramonto, come aveva sempre fatto. Ma chiunque conoscesse bene le abitudini dei kileani si sarebbe accorto del profondo mutamento che si era generato il giorno in cui Erya aveva salvato il piccolo Sjili.

La ragazza fingeva di non accorgersene, ma la sua sofferenza aumentava ogni volta che carpiva un'espressione diffidente sui volti delle persone che credeva amiche. Quando camminava per le stradine di Kilea si sentiva addosso gli sguardi di tutti e ogni suo passo era accompagnato da mormorii e occhiate curiose. Qualcuno aveva cominciato a guardarla con sospetto o con paura, mentre altri preferivano addirittura allontanarsi in fretta al suo passaggio, evitando di avvicinarsi troppo a lei.

La notizia di come aveva fermato il ladro era passata di bocca in bocca, caricandosi di particolari non sempre veri e colorandosi di sfumature diverse, ma di rado positive.

Erya sentiva di aver perso la fiducia dei compaesani, e quelli che avevano sempre dimostrato poca simpatia nei suoi confronti si lasciavano ora andare a critiche feroci, che si diffondevano con grande facilità. Ormai tutti, a Kilea, sapevano che Erya era diversa, strana, pericolosa. La ragazza lo sentiva nell'aria e nei frammenti di conversazione che le giungevano alle orecchie.

I genitori cercavano di distrarla, la madre inventava sempre nuove scuse per accompagnarla nelle camminate attraverso il villaggio e la confortava quando la vedeva particolarmente taciturna e pensierosa. Entrambi le consigliavano di non prendere in considerazione i commenti della gente e di dimenticare ciò che aveva sentito, nella convinzione che il tempo avrebbe sistemato ogni cosa e che i kileani non ci avrebbero messo molto a dimenticare ciò che avevano visto o sentito dire, per preoccuparsi dei problemi più urgenti.

Non avrebbe potuto sbagliarsi più di così.

L'alba era appena spuntata quando Erya sentì bussare alla porta con tanto vigore che credette volessero scardinarla. Si era alzata da pochi minuti e stava per uscire di casa e recarsi alla stalla, perciò fu la prima a raggiungere la porta e aprirla.

Si trovò di fronte cinque uomini alti e robusti. Indossavano un'uniforme grigia con lo stemma della città di Surna – uno scudo e uno spadone – ricamato in viola sul petto. Dalle loro cinture dello stesso colore pendevano i foderi delle spade e impugnavano una lunga picca dall'aspetto letale.

Erya si sentì mancare il fiato, ma cercò di assumere un contegno deciso, squadrandoli con espressione seria e incuriosita, senza dire una parola.

«Erya, figlia di Glen?» chiese il più vicino alla porta, un bel giovane dagli occhi grigi che richiamavano in modo quasi perfetto la fredda tonalità dell'uniforme.

«Sono io» rispose la ragazza, sentendo lo stomaco stringersi in una morsa di ferro.

«Devi venire con noi. Ordine di Sir Malrok»

Era stata denunciata.

Non era un mistero che il re di Madaris inviasse i suoi uomini di fiducia in ogni città e villaggio con il compito di scoprire chi fosse considerato strano e potesse essere ritenuto diverso dagli altri. Forse una di queste spie era giunta a Kilea e aveva ascoltato le voci sul suo conto.

Non era il decreto reale a convincere gli abitanti a denunciare i casi come il suo, ma la paura. Troppe guerre erano avvenute a causa di persone come Erya, molte delle quali si erano unite e avevano combattuto per il dominio delle Terre dell'Est, dando origine ai sanguinosi conflitti. Solo la loro sconfitta aveva posto fine alle guerre, e da quel momento quelli come lei erano stati ribattezzati con il nome di Diversi.

Il Cuore di DjinoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora