79. EPILOGO

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Erya soffriva, non sapendo come aiutarlo. Seguiva il combattimento da vicino, priva d'ogni forza che le permettesse di fare altro che avanzare lentamente dietro l'amico impegnato nello scontro.

Idemar era migliorato molto, tanto che Erya aveva sperato che riuscisse a sconfiggere Hodger. Ma il re aveva ancora una carta da giocare, la più spaventosa. L'aveva sentita scendere come un'ombra spettrale sopra di loro, ne aveva avvertita la presenza e questa l'aveva lasciata senza fiato. Energia vitale oscura e perversa fluttuava nell'aria e sotto i suoi piedi, muovendosi sottoterra. E il re accoglieva questa energia sfogandola contro il suo avversario, spostandosi con la velocità del vento e una leggiadria che non aveva nulla da invidiare a quella propria degli Elfi. Erya sentì che anche le sue residue forze erano attirate verso Hodger, e vi si oppose strenuamente; spaventata, cercò qualcosa di vivo, ma il suolo terroso era privo di vegetazione. Per raggiungere gli alberi più vicini avrebbe dovuto camminare per un paio di minuti, e non voleva allontanarsi da Idemar; anche se la spossatezza le avrebbe impedito qualunque aiuto, sperava che la sua presenza fosse un deterrente per re Hodger, consigliandogli di non tentare una nuova incursione nella mente del ragazzo.

Un filo d'erba, un solitario filo calpestato, ingiallito e quasi secco. Spuntava dal terreno di pochi centimetri ed era curvo al punto che la sommità andava a sfiorare il suolo; ma non le serviva altro, anche una sola goccia vitale avrebbe potuto rivelarle il segreto di Hodger, aiutandola a contrastarlo.

Si chinò, appoggiando le ginocchia sulla rude terra, e allungò la mano, sfiorando il filo d'erba con il palmo. Una vibrazione, quasi impercettibile, e ritrasse la mano con un debole grido; una delle dita sanguinava abbondantemente. Lo portò alle labbra e succhiò via il sangue, scoprendo un sottile ma profondo taglio. Ma non era quella ferita ad addolorarla, quanto la feroce ostilità che avvelenava l'aria attorno a lei, creata dalla capacità di Hodger di piegare alla sua volontà ogni forma di vita, visibile o nascosta. Ogni pianta, ogni animale o insetto del sottosuolo, ogni uccello donava la propria energia al sovrano di Madaris.

Solo qualche passo e non ci sarebbe stato più nulla da fare. Lei non aveva alcuna possibilità di rendersi utile e, se anche fosse stata nel pieno delle forze, non sarebbe stato certo un gioco contrastare Hodger. Come aveva previsto la profezia di Shirandon, Idemar era solo, alla fine di tutto, di fronte al nemico di tutti i popoli. E stava per essere sopraffatto da un potere oscuro e perverso, che piegava a sé anche la natura, attirando l'energia vitale e plasmandola ad armatura e arma.

Idemar era concentratissimo, gli occhi spalancati sull'avversario. Erya si accorse che l'amico cominciava a essere stanco: una stanchezza latente che non si rifletteva all'esterno, ma filtrava dallo sguardo. I suoi movimenti erano ancora precisi e veloci, ma Erya sapeva che il corpo stava cominciando a risentire del duello logorante che sembrava privo di speranza. Eppure l'espressione di Idemar era ferma e decisa: nulla faceva trapelare ansia, preoccupazione o paura. Lei sentiva il cuore scoppiarle dal terrore per ciò che stava per accadere, per quella situazione all'apparenza impossibile e incontrovertibile, e si chiese come facesse l'amico a essere così tranquillo.

Il bianco bastone sul quale era incastonata la sfera brillava appena tra le mani del ragazzo, e la pietra pareva quasi assopita, ma Erya la vide fremere appena, attraversata da una scintilla luminosa, e comprese che il Cuore di Djinora era desto e attento come un gatto che, acquattato e immobile, attende il momento migliore per balzare sull'ignara preda. E quel pensiero la rincuorò e le ridiede speranza, nella certezza che il sovrano di Madaris non se n'era accorto, concentrato com'era sull'attacco e sul reperimento di energie.

Hodger tentò un nuovo affondo, che Idemar evitò saltando di lato. Fu la sua salvezza, perché arretrando si sarebbe trovato sull'orlo del baratro.

Fu in quell'istante che esplose la luce, tanto intensa che Erya fu costretta a portare una mano sugli occhi per non restarne abbagliata. Idemar e Hodger ne furono avvolti per qualche istante, ed Erya intravedeva le loro figure: Idemar tranquillo, immobile e con gli occhi aperti, sembrava non aver neppure notato la luce, a differenza dell'avversario, che si era bloccato, la spada sollevata sopra la testa, sorpreso e accecato da quel fulgore improvviso. Erya lo vide roteare la spada a destra e manca, a occhi chiusi, e immaginò fosse un tentativo di difendersi e magari mettere in difficoltà l'avversario, forse addirittura colpirlo.

Ma Idemar ci vedeva benissimo; si spostò ancora un po' di lato e, con un movimento preciso, colpì la lama dell'avversario con il bastone; l'arma si frantumò, riducendosi a polvere, e Hodger, sorpreso e incapace di reagire, arretrò di un passo, finendo di fatto proprio di fronte a Idemar.

Era giunto il momento. Reprimendo l'emozione che gli serrava la gola, Idemar affondò.

Erya chiuse gli occhi con forza, perché l'esplosione di luce fu accecante, anche se durò un solo istante per poi scomparire del tutto. Lui non si accorse nemmeno della luminosità, stordito dall'impatto come se fosse stato colpito lui stesso.

Il bastone aveva appena toccato il petto del re, senza violenza, ma Hodger era crollato a terra senza emettere un suono.

Abbassò lo sguardo a fatica, e si accorse che doveva sforzarsi per riuscire a mettere a fuoco ciò che si trovava ai suoi piedi. Poi avvertì la sensazione di bagnato e, barcollando, fece un piccolo passo in avanti, cercando di distinguere Hodger. Quindi, incapace di reggere ancora, cadde carponi sulla terra bagnata. Prima di perdere conoscenza riuscì solo a sentire l'acqua che lo avvolgeva.

***

Erya, senza fiato, non riusciva a distogliere lo sguardo dall'acqua, che sgorgava dalla cotta di maglia vuota abbandonata sulla terra deserta per precipitare nel baratro nero col fragore di una cascata.

Incredula e tremante, vide Idemar vacillare e crollare a terra, il viso sotto il nastro di acqua cristallina. Con un grido si precipitò da lui, gettandosi in ginocchio a terra e sollevando con delicatezza il capo dell'amico perché non annegasse. Il corpo di Idemar era teso, la pelle fredda a contatto con le dita. Tra le mani reggeva ancora il bianco bastone, in cima al quale era incastonata una pietra nera, ciò che restava del Cuore di Djinora. Tutt'intorno la battaglia si era fermata; all'esplosione della luce l'attenzione dei combattenti era stata calamitata dalla scena che si svolgeva sull'orlo del precipizio.

Erya sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei, ma non le importava; anche la morte di Hodger sembrava qualcosa di lontano, indefinito, mentre scuoteva con delicatezza Idemar cercando di svegliarlo.

Si accorse appena dello sconvolgimento che avveniva attorno a lei, dei soldati che risvegliavano dal torpore la volontà oppressa e abbandonavano le armi, o di quelli che, vedendo sfumare il sogno delle ricompense promesse, fuggivano; quasi non notò come i pochi che si erano alleati volontariamente al re di Madaris furono dispersi e allontanati senza sforzo alcuno, e di come il clangore delle armi si acquietò nella piana della battaglia.

Trascinò Idemar lontano dall'acqua e lo adagiò sulla terra secca e desolata, continuando a chiamarlo e scuoterlo.

Il ragazzo respirava debolmente, ma in modo regolare, e anche il battito cardiaco sembrava a posto, ma non dava segno di voler aprire gli occhi.

Un'ombra si stagliò sulla terra, ed Erya alzò gli occhi, incrociando quelli di Aredel; il giovane Elfo aveva la tunica macchiata di sangue e un braccio rigido, ma il volto tirato e stanco era sereno.

Dietro di lui veniva una piccola processione di Uomini, Elfi e Feark, tra i quali Erya riconobbe Eareniel, Dauril, Sjili e Ashira. La guerriera Feark la aiutò a rialzarsi, mentre gli Elfi si occupavano di Idemar e lo sollevavano per condurlo in città.

Mentre seguiva il corteo, senza riuscire a comprendere nemmeno una parola delle conversazioni di quanti la circondavano, vide il lago che si era appena formato dove prima la pianura era deturpata dalla mortifera voragine. I caldi raggi del sole pomeridiano, trafiggendo la coltre polverosa che ancora sovrastava la zona, illuminavano la superficie ormai calma.

Distolse lo sguardo e si affrettò a raggiungere il portone d'ingresso.

Il Cuore di DjinoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora