50. LA COLONNA

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Aveva trascorso la notte a ridosso della parete di roccia, in un nascondiglio provvidenzialmente fornito da una cavità naturale.

Non era riuscito a dormire, anche se la stanchezza gli aveva permesso di appisolarsi più volte e non si sentiva affatto riposato. In quella caverna non filtrava alcuna luce, certo non vi era mai entrato un raggio di sole; eppure per Idemar fu facile capire che era mattina perché le strade, deserte fino a poco prima, si andavano animando. E nell'aria intrisa di umidità si respirava una vibrante attesa carica di aspettativa.

Sembrava che l'intera città si fosse riversata nelle stradine, e ovunque si levavano le voci dei Pukrob tanto simili a grugniti. Idemar aveva riflettuto a lungo, senza per questo giungere a una soluzione o a un piano elaborato. Era solo, contro migliaia di Pukrob forti e riposati, e presto le strade furono tanto affollate da rendere un problema anche solo il raggiungere la colonna rosa. L'eccitazione cresceva ogni minuto, al pari dell'ansia nel cuore di Idemar: era un'impresa disperata, e lui stanco e senza forze.

Sentì delle grida lontane, e subito l'intera distesa di Pukrob fu percorsa da un brivido: l'attesa stava per finire, la curiosità sarebbe stata presto soddisfatta.

Il Cuore di Djinora cominciò scintillare, fioco; Idemar lo sfiorò con una mano, e la luce si fece più intensa, avvolgendolo. Capì che non avrebbero potuto vederlo.

Quanto a lungo sarebbe riuscito a sostenere quello stato? La pietra aveva bisogno anche di lui per agire, e la sua forza veniva rapidamente meno. Cominciò a camminare in mezzo alla strada: era l'unica soluzione, anche se lo costringeva a passare tra le file dei Pukrob ammassati ai lati. Era strano camminare tra di loro senza essere visto, paradossale, considerate le sue intenzioni: era un infiltrato, un nemico che sperava di mettere i bastoni tra le ruote al loro popolo, e per farlo sfilava davanti a tutti, come fosse uno di loro, senza che potessero vederlo.

Sapeva che la copertura non sarebbe durata in eterno, perciò procedeva spedito verso il centro della città. Giunto più vicino alla colonna vide che, attorno a questa, stavano dieci Pukrob che si distinguevano dagli altri per i lunghi abiti di colore rosso, che gli fecero subito pensare a una cerimonia.

A ogni passo la frenesia della folla aumentava e le grida si facevano più forti, finché, sulla sinistra, comparve un gruppetto accolto con schiamazzante entusiasmo.

Erya era attorniata da quattro alti Pukrob, e camminava con passo risoluto; ma il volto era una maschera di paura, pallido e tirato, e Idemar riusciva a leggervi la rassegnazione. Seppe allora che Erya non avrebbe fatto alcun tentativo di liberarsi, e sentì più pressante che mai il dovere di aiutarla. La folla, vedendo avanzare la prigioniera, si riversò nelle strade per avvicinarsi il più possibile alla colonna. Idemar cominciò a correre per evitare di rimanere schiacciato: il bastone lo rendeva invisibile, non incorporeo.

Raggiunse la piazza, fermando la corsa dietro al semicerchio più esterno tra quelli riservati alle autorità. Ai piedi di ogni panca vi era un ordinato mucchio di grosse pietre nere e appuntite.

Vide due dei Pukrob condurre Erya alla colonna e legarla; scorse una smorfia di dolore attraversarle per un istante gli occhi, che poi divennero vacui, come privi di vita.

I due Pukrob si allontanarono e, dalla prima fila, se ne alzò un terzo. Era appena più basso rispetto alla media, e piuttosto grosso, ma si distingueva dagli altri per l'abbigliamento: indossava una tonaca rosso brillante ornata d'oro che rifulgeva a ogni movimento, e sulla testa portava un diadema ricoperto di grosse perle nere e lucide, incastonate senza nessun disegno preciso.

Questi si pose davanti alla colonna, la schiena rivolta a Erya, fissando la folla che aveva di fronte e in modo particolare quanti occupavano le prime file. E cominciò a declamare, con l'aria decisa e seria di chi sta pronunciando un discorso ufficiale.

Il Cuore di DjinoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora