67. LA MISSIONE DI IDEMAR

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I fatti accaduti quel giorno avevano fatto nascere qualche interrogativo all'interno dell'esercito alleato; fino a che la battaglia aveva richiesto ogni grammo delle loro forze e ogni briciola di concentrazione, i dubbi erano stati allontanati, ma ora che la notte calava su Darmet i quesiti rimasti in sospeso reclamavano una spiegazione.

I Feark avevano visto il bastone con il quale Idemar era riuscito a far vacillare il muro di fuoco manipolato da Sjili; inoltre, non si spiegava perché il ragazzo avesse dato ordine di non attaccare i Diversi. Infine, i Feark che erano in compagnia di Erya nel corso dell'attacco, erano rimasti turbati nel vedere ciò che la ragazza era in grado di fare, nonostante già fossero a conoscenza della sua diversità.

Idemar, nel corso di un'assemblea organizzata dal re e da Norken, cominciò proprio da questo. «È giunto il momento di superare i pregiudizi e di liberarci dalle pastoie del passato. Le vostre paure sono radicate nella convinzione che i Diversi siano crudeli, spietati, persone che desiderano il potere sopra ogni altra cosa e prive d'interesse per la vita degli altri. Ma si tratta solo di superstizione: chi si ostina a temere i Diversi non è più assennato del Pukrob che adora una colonna di pietra. Questa paura è ingiustificata, e ne avete avuto la prova oggi stesso, quando alcuni di voi sono scampati a una situazione apparentemente priva di speranza proprio grazie alla capacità di Erya»

Un mormorio di assenso si diffuse in una parte dell'assemblea.

«E come giustifichi la presenza di tutti quei Diversi nelle fila nemiche?» gridò un Feark, niente affatto convinto.

«Erya ha già spiegato come le persone dotate di capacità anomale siano rapite e condotte a Madaris. Re Hodger obbliga i Diversi a combattere per lui, e lo fa tramite il totale controllo delle loro menti. Coloro che incontrate sul campo di battaglia non sono affatto responsabili delle proprie azioni e, di conseguenza, sono innocenti»

«E ora ci verrai a dire che non dobbiamo difenderci da loro, che dobbiamo lasciarci uccidere uno a uno! Già è un miracolo se Darmet riesce a reggere l'attacco ancora per un paio di giorni; se cominciamo a trattare il nemico con i guanti di velluto ogni speranza cade» disse uno dei Cavalieri di Darmet.

«Non vi chiedo di comportarvi diversamente da come avete fatto fino a ora, ma di lasciare che sia io a occuparmi di loro»

«Tu solo? E come pensi di fare?»

«Proseguendo sulla via che ho già cominciato a percorrere, facendo affidamento sull'aiuto del mio bastone»

«Sei uno stregone?» chiese un altro Uomo, che Idemar riconobbe come uno degli arcieri che erano accanto a lui sulle mura poche ore prima. Nella sua voce vibrava una nota di accusa.

Gli stregoni erano scomparsi dalle Terre dell'Est da moltissimi anni, e si diceva fossero stati proprio gli ultimi tra loro a sobillare i Diversi, convincendoli della propria superiorità e della necessità di dare avvio a una guerra per la conquista del potere.

«Non sono più stregone di voi» rispose Idemar in tono tranquillo. «Il bastone che porto con me mi è stato consegnato dagli Elfi per custodire la pietra che vi è incastonata. Il popolo elfo ripone grande fiducia in questa pietra ed è dal bastone che proviene la forza che avete visto in azione, non da me» estrasse il bastone dalla custodia e lo mostrò loro. «Come vi chiedo, se vi trovate nelle condizioni di poterlo fare, di risparmiare la vita ai Diversi, allo stesso modo vi chiedo di avere fiducia e di non temere il bastone ma, al contrario, considerarlo un prezioso alleato, poiché questa è la sua natura»

«Così sarà fatto» dichiarò re Ulmer a nome di tutti i darmetiani e gli altri Uomini al suo comando.

«E sia!» esclamò Norken.

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