22. UN NUOVO INTOPPO

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Il sole scese poco a poco, allungando le ombre e colorando ogni cosa di rosso. La stanchezza cominciò a farsi sentire, accentuata dalla desolazione del paesaggio, e i due ragazzi si fermarono nei pressi di una piccola macchia di alberi per qualche ora.

Ripartirono prima che fosse alba. Lo avevano deciso insieme: volevano giungere a destinazione al più presto, entrambi stanchi di camminare in mezzo al nulla.

Anche il resto del viaggio fu tranquillo e deserto. Non incontrarono nessuno lungo la via e quando infine comparvero le prime isolate abitazioni, compresero che Kaleb doveva essere vicina. L'ultimo tratto di strada fu meno monotono, con i contadini che lavoravano i campi costeggiati dalla via e i commercianti che si recavano in città con i loro carri.

Superarono un paio di minuscoli villaggi dall'aria cadente e poi, a metà pomeriggio, giunsero in vista di Kaleb. Era più grande di Surna: il muro che la cingeva era più alto e possente, e gli conferiva quasi l'aspetto di una fortezza.

Anche la strada che stavano seguendo fin da quando avevano lasciato Ilwyn si era fatta più spaziosa, tanto che due carri avrebbero potuto procedere affiancati senza pericolo di collisioni.

Erya e Idemar si sentirono sempre più oppressi mano a mano che la città si faceva più vicina. Le alte mura davano a Kaleb un aspetto minaccioso, e l'ampio arco che sovrastava l'ingresso sembrava inghiottire ogni visitatore.

Idemar, felice di essere giunto a destinazione, guardava il portone spalancato carico di speranza, mentre Erya cercava di farsi forza e scacciare la nostalgia per il bosco di Ilwyn.

Quattro uomini armati regolavano l'afflusso dei visitatori e si assicuravano che non entrassero persone sgradite al Sovrintendente di Kaleb.

Idemar ed Erya scesero da cavallo, procedendo a piedi nell'ultimo tratto, fino al cancello. Due dei quattro uomini fecero loro segno di fermarsi.

«Provenienza e motivo della visita.»

«Veniamo da Thalron e siamo qui solo di passaggio. Stiamo cercando un luogo dove trascorrere la notte» spiegò Idemar, impassibile.

Fu convincente. Le guardie fecero loro cenno di proseguire, mentre la loro attenzione era attirata da un gruppo di chiassosi commercianti che si trascinavano dietro quattro riluttanti e scalpitanti cavalli carichi di mercanzie.

I due ragazzi superarono l'arco, ritrovandosi in una strada acciottolata che pullulava di gente. La città era grigia; gli edifici che si affacciavano sulla via erano anneriti, e senza un tocco di colore. Le piante erano rare, e avevano un aspetto poco sano, quasi prive di foglie.

Avanzarono in silenzio per un po' e poi, quando furono certi di essersi lasciati alle spalle le guardie del cancello, Erya disse: «Dobbiamo chiedere a qualcuno di indicarci la bottega di questo Roak»

«Prima ci conviene trovare una locanda e prenotare due stanze per questa notte, nel caso in cui ci stiano controllando per accertarsi che non abbiamo mentito»

Erya lanciò un'occhiata alle spalle, ansiosa. «Credi che la sorveglianza sia tanto stretta?»

«Meglio essere prudenti. In tempi come questi è normale rafforzare la sorveglianza nelle città, con i briganti che saccheggiano tutto quello che possono. Penso sia preferibile non dar loro motivo di sospettare di noi, tanto più che non stiamo facendo nulla d'illegale»

Erya annuì.

Proseguirono in silenzio, osservando la movimentata vita della città: videro artigiani nelle loro botteghe – ma nessun falegname – commercianti che tentavano di vendere la merce anche lungo le strade e gruppi di vivaci bambini che si rincorrevano ai bordi delle vie dando un tono allegro a una scena altrimenti deprimente.

Il Cuore di DjinoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora