53. LA CREATURA ALATA

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I giorni successivi la valle si dimostrò degna del suo nome, rivelando ai due ragazzi paesaggi sempre più belli. Il sole che splendeva di nuovo nel cielo metteva in risalto ogni sfumatura, e di colori attorno a loro ce n'erano davvero tanti, a cominciare dalle chiome degli alberi che si stagliavano orgogliose verso il cielo azzurro.

Avevano trovato la strada e non l'avevano più abbandonata: forniva loro una certa protezione, ora che le guardie del re erano lontane e la minaccia dei Pukrob più vicina.

Non che la via fosse trafficata: da quando avevano cominciato a percorrerla avevano incrociato solo un paio di carovane, ma sembrava impossibile che i Pukrob potessero giungere fino a lì, senza la protezione di boschi e ombra.

Avevano superato due paesini – poche case abitate da poveri contadini, un piccolissimo emporio e qualche campo – e riempito di nuovo lo zaino di cibo, ma il loro cammino non si era mai fermato per più di qualche ora. Nessun monte era, fino a quel momento, apparso all'orizzonte, ma i due ragazzi proseguivano risoluti verso ovest.

Superarono anche il terzo villaggio, un po' più grande rispetto ai precedenti e dalle abitazioni meno diroccate. C'era maggiore movimento, e piccole stradine sterrate andavano a confluire nella via, per rendere più veloci e semplici gli spostamenti dei commercianti.

«Siamo arrivati alla zona più popolata: a breve i villaggi sorgeranno più numerosi e ravvicinati, e tra qualche giorno giungeremo a Kamiran, la più grande città della Valle d'Oro. Forse là sapranno darci qualche indicazione su come raggiungere il monte Rashar»

Il sole era al tramonto, e Idemar stava cercando un luogo tranquillo e riparato dove trascorrere la notte. Fino a quel momento era sempre riuscito a trovare qualche angolo protetto dagli alberi, e non era stato nemmeno necessario accendere pericolosi fuochi, perché la temperatura era mite anche durante la notte.

Il tratto di strada che stavano percorrendo in quel momento non era fiancheggiato da boschetti, anche se di tanto in tanto crescevano isolati gruppi d'alberi.

Non c'erano villaggi nelle vicinanze, ed erano ormai trascorse quasi tre ore da quando si erano lasciati alle spalle l'ultimo. Le ombre si allungavano rapide via via che il sole veniva inghiottito dall'orizzonte, e il cielo assumeva una tenue colorazione grigia.

Nessuno dei due voleva trascorrere la notte in un luogo troppo aperto. Se si fossero fermati lì, accanto a uno qualsiasi dei cespugli che incrociavano, sarebbero stati visibili a tutti, e nessuno dei due era disposto a correre il rischio di complicazioni. Continuarono perciò a camminare nella speranza di trovare un luogo più adatto o, nella migliore delle ipotesi, un villaggio in cui trascorrere la notte.

Ormai il buio era calato quando si fermarono nei pressi di una macchia di alberi: era molto tardi e i due ragazzi erano troppo stanchi per continuare a camminare.

Si sedettero, appoggiati al tronco di un grosso pioppo, e rimasero a lungo in silenzio a riposare.

Poi, mentre Idemar stava per portare alla bocca un pezzo di pane, un urlo agghiacciante frantumò il silenzio della notte.

Erya, seduta con la nuca appoggiata all'albero, scattò in piedi trattenendo a stento un grido e si guardò attorno, il cuore che batteva all'impazzata.

«Cos'è stato?» sussurrò.

Ma Idemar stava già correndo verso la strada, la sacca sulle spalle, e lei lo seguì, le gambe che si muovevano da sole, troppo spaventata per capire cosa stesse succedendo.

Le bastò un attimo per comprendere da dove fosse giunto il grido.

Un carro avanzava verso di loro a gran velocità, sobbalzando senza sosta. Sopra vi erano almeno tre figure, e le loro grida erano smorzate solo dal gran fracasso delle ruote, che scricchiolavano in modo terrificante a causa dell'attrito e degli sbalzi.

Il Cuore di DjinoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora