SHARED UNIVERSE #3

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Mi sposto sulla riva dell'estuario fino alla foce del faro dove è arenato un antico vascello. Dal punto di sbarco, passando per il ponte principale, accedo al capanno dello Shack Shore, un'area shopping ricavata all'interno dell'imbarcazione di legno. Gli scaffali del negozio, oltre ad articoli di sub, espongono un vasto assortimento a tema Windigo, la leggendaria creatura demoniaca presente in molte tradizioni americane e canadesi. Statuine, calamite da frigorifero, cartoline, caramelle gommose, ricette vudù, non manca nulla.

«I Grandi Laghi erano il terreno di caccia della nazione indiana degli Algonchini,» mi racconta il commesso segaligno al bancone, vestito come a un funerale e con il volto guastato da un perenne cipiglio. In sottofondo Bigmouth Strikes Again. Il terreno dove oggi sorge Bayou Peaks nel 1642 era illuminato dai falò degli Algonchini. In quell'anno una spedizione di Pellegrini, potati dal vascello dove ci troviamo noi adesso, naufragò sulla costa. La tribù indiana accolse gli uomini bianchi nel loro campo caravan, e già l'anno successivo i Pellegrini avevano costruito il nucleo di un villaggio confinante dove vivere separati dai loro "infedeli" salvatori. Nel 1645 i fienili dei Padri Pellegrini si estendevano per appezzamenti di terra nettamente superiori a quelli coltivati dagli indiani.

L'avidità europea era in continua espansione. Portò a liti accese con i vicini selvaggi, ai quali i Pellegrini volevano strappare le terre per espandere le loro costruzioni. Gli Algonchini avrebbero potuto resistere alle bocche di fuoco dei Pellegrini, se non fosse che una notte vennero traditi da uno di loro, da un indiano reso schiavo dagli uomini bianchi grazie alla magia "dell'acqua di fuoco". Nel 1649 l'intera tribù dei Grandi Laghi venne sterminata, le capanne date alle fiamme. «L'unico nativo a venire risparmiato fu il traditore della sua razza. I Pellegrini non volevano comunque tenerlo con loro, così durante un gelido inverno lo esiliarono senza cibo nella foresta. L'indiano non era mai stato un cacciatore e per sopravvivere era dovuto diventare un cannibale. Nutrendosi di carne umana, il suo aspetto era cambiato: uno scheletro cornuto di grandi dimensioni, dai lunghi artigli e dai denti affilati. Figlio dell'inverno e della fame, era diventato il Windigo!»

Per qualche tempo i commercianti della zona hanno sfruttato tali credenze alimentando le voci che volevano il Windigo abitare proprio nella foresta di Bayou Peaks. La trappola per turisti è presto mutata in fama sinistra quando misteriose sparizioni hanno cominciato a verificarsi nella zona con frequenza sempre più impressionante. Nessuno oggi vuole più mettere piede a Bayou Peaks e rischiare di finire sul piatto di un cacciatore mostruoso e affamato. «Non andare nella foresta, ragazza, se non vuoi fare una brutta fine.»

Il ponte della barca mi rimette sul molo della palude. L'avvertimento del negoziante è per me un invito a nozze. Non ho mai creduto in Babbo Natale, figuriamoci nei mostri.

Dalle porte della cittadina una strada dissestata e tutta curve conduce verso la foresta alla base dei due Picchi. Mi tengo oltre il selciato, ma non c'è anima viva, né in auto né a piedi come me. Ho battuto ogni angolo di Bayou Peaks in questi giorni, non so più davvero che pesci prendere. Sento il rumore impetuoso delle cascate sui monti, eppure lungo il cammino mi imbatto solo in un fatiscente distributore di benzina, nemmeno servito e affidato alle sole pompe automatiche.

Una sequenza di lapidi disposte in circolo e spezzate segna l'inizio del cimitero che costeggia esattamente il principio della foresta. Da qui i Picchi gemelli sulla cima della montagna incutono un timore reverenziale. Le prime lastre, quelle rotte, sono le tombe dei cani. Non avevo mai visto una sezione di cripte a loro interamente riservata. Dal cimitero del paese uno sentiero stretto conduce alla baracca messa su alla meno peggio.

«C'è nessuno?» chiedo più volte senza ottenere risposta. Scosto il tappeto appeso a mò di tenda. L'interno non è diviso in ambienti, si compone di un'unica camera da letto. Le piante sul tavolo da pic nic mi fanno pensare a un sistema di evocazione. Okay. Forse ho esagerato prima. Forse provo un po' di spavento. Voglio tornare subito all'aperto.

Salto all'indietro in tempo per evitare il colpo di scure che piove dall'alto. «Strega!» Prova a colpirmi di nuovo. Afferro il manico di legno dell'ascia e senza difficoltà la strappo dalle mani della vecchia pazza. «Strega!» continua a imprecare contro di me la donna dai capelli bianchi sciolti al vento, pallida come la luna, spettrale nella sua nivea camicia da notte svolazzante. «Strega!»

Infilzo l'ascia sul ceppo fuori dalla baita in rovina. È una di quelle armi pesanti con le quale chi deve scontare una punizione spacca le pietre dal dì alla sera. «Non sono una strega.» Dico a lei, che più di me sembra una sposa del demonio. «Voglio parlare. Voglio sapere del Windigo.»

Seguo la vecchia dentro il rifugio. «Il Camminatore Notturno esiste. Nessuno mi crede. Io lo so. Io lo vedo.» Dice che il Windigo, dopo il tramonto, viene a trovarla. La vecchia si siede al tavolo da caccia, la imito. Voglio sperare che su quel tavolo il demone non torturi le vittime prima di mangiarle. «Io parlo con lui. Nessuno sa ascoltarlo, tranne me.» Cerco di non tapparmi il naso per scortesia, il puzzo della cantina risale da un abisso etilico. La vecchia sbircia alla finestrella, puntata in direzione del ponte coperto sull'oceano. «La gente è pazza. Guardano alla foresta. Non sanno dove guardare. Non è quella la Tana del Camminatore Notturno.» Il Windigo viene dal mare. Le ha detto come fare per trovarlo, lei lo dice a me. «Segui la riva del lago fino alla vecchia miniera, immergiti in quel punto, nuota fino alla metà affondata del vascello dei Pellegrini, passa attraverso il ponte coperto... e avrai trovato la tana della bestia.»

Ripercorro il sentiero a ritroso. Mi lascio alle spalle la foresta nera, ritorno spedita allo Shack Shore. «Voglio una bombola d'ossigeno... e un fucile d'acqua!» Scarto le confezioni nella mia camera all'ostello. La TV sopra il letto è sintonizzata su Canal Reina. «Non è stata una morte naturale. Lo hanno avvelenato vi dico,» mi incanto di fronte allo schermo. L'uomo ai microfoni è stato il primo uomo tigre del Clan Blanco, ora sta piangendo la morte di un figlio. Scorrono le immagini di Raul Garcìa Montero, con la sua maschera, steso dentro la bara. Mi metto a sedere sul letto per non crollare. Raul non è riuscito a salvarsi alla fine. Blanco Sr. accusa sfrontatamente una donna, l'ex del manager Juan Morales, anche lui morto, ce l'ha con la donna-Fujiko già sospettata dal señor Montero e da Tìa Soledad. Il vecchio campione è convinto che la donna sia un sicario del luchador con la maschera da capra nera: mette una taglia sulla loro testa, invita tutti i parenti delle loro vittime a unirsi in un consorzio per ottenere vendetta. Quella non è la mia guerra. Posso solo onorare la memoria del mio grande amico Montero.

Metto War Pigs a palla, inserisco la combinazione nella valigetta che Raul mi ha regalato al nostro ultimo incontro. Il contenuto mi illumina il volto. Montero ha lasciato un bigliettino con tutte le istruzioni. Al ballo dell'anno scorso per combattere Miminal Jack avevo indossato un paio di pantaloni scuri e un body total black. L'avevo definito il mio abbigliamento da "fottuta supereroina bionda", quando lo indossavo diventavo Wiz Girl. Beh, sorpresa delle sorprese, Raul Garcìa Montero ha lavorato in gran segreto a un aggiornamento del costume.

Il body è color platino, fatto di tessuto traspirante in kevlar e inserti in radionuclide, ignifugo e idrorepellente, talmente elasticizzato da sottolineare i miei generosi attributi anatomici (sono contenta di non aver preso oggi il doppio hamburger!). Mi lascia scoperta la pelle luminosa su entrambi i lati, dalle ascelle alle cosce, praticamente rivelando le circonferenze dei seni e i limiti dell'inguine. Come se non fosse già abbastanza succinto, il body cela imbottiture al seno e protesi in silicone al sedere per ingrandirmeli. I guantoni aderenti sono a metà fra quelli di un meccanico d'auto e un pilota d'aerei, gli stivali anch'essi dorati arrivano a metà coscia con un orlo superiore bianco che ricorda il sexy segno di un reggicalze. Allaccio in vita il cinturone rosso con un doblone centrale che riporta la sigla W.

La vera chicca è la maschera da luchadora, anch'essa color platino, che mi copre interamente il viso lasciandomi scoperta la bocca e la linea del mento oltre a favorire l'uscita superiore della mia chioma ultra bionda. Sono io, bella, folle e sanguinaria.

Sono la fottuta Wiz Blonde!

WIZ BLONDE (Completata)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora