Capitolo 21

24.1K 947 592
                                    

Da bambina amavo le maschere, passavo giornate intere a mascherarmi, passavo dall'essere una principessa a una fata, a personaggi dei miei cartoni preferiti o supereroi. Amavo il fatto di poter scegliere chi essere. Da adulta ho capito che non sempre le maschere ti permettono di essere ciò che vuoi, a volte siamo costretti ad indossarne una per celare chi siamo davvero. Sono stata costretta ad indossarne una che comincia a starmi stretta, che in realtà mi è sempre stata stretta.

Guardo e studio ogni singola persona seduta a questo tavolo, a partire da Milton che di maschere ne indossa a volontà, ai suoi cinque amici e colleghi con le loro rispettive famiglie, guardo i loro figli e le loro figlie, mi chiedo quanti di loro indossano la stessa maschera che sono costretta ad indossare io e quanti di loro sono diventati tutt'uno con essa.

Sono contenta che alla cena abbia deciso di partecipare anche Taranee, mia unica alleata. Poi ci sono Meredith e Josephine, figlie del migliore amico di Milton che sono praticamente le uniche tra tutti i presenti che riesco a sopportare per più di un'ora.

«Meredith so che hai deciso di entrare nell'azienda di tuo padre.» Milton guarda la ragazza dai capelli castani a caschetto e due bellissimi occhi verdi, lei annuisce sorridente, non so quanto vero sia il suo sorriso in realtà.

Come se fosse scontata come cosa comunque, è praticamente già stato scritto quando è venuta al mondo, il fatto che si sia arresa e abbia accettato la cosa però ha reso felice il padre.

«Edith mi da grandi soddisfazioni.» e come sempre è il padre a rispondere, è così che fanno, interpellano noi figli o le mogli e poi rispondono loro per noi.

La cosa mi infastidisce più di quanto dia a vedere.

«Tu invece Ava? Hai deciso di seguire le orme di tuo padre?»

Perché pone a me la domanda se in pratica le figlie siamo due? Perché sono la maggiore e ci si aspetta molto di più dai figli maggiori.

«Avalyne sta -» Milton cerca di rispondere al posto mio poggiando il calice di vino sul tavolo, io però lo interrompo.

«Sono in grado di rispondere alla domanda da sola.» sorrido a Milton per far sì che agli occhi degli altri sembri una figlia complice con suo padre.

«Prego.» sorride ma a denti stretti, conosco lo sguardo che mi rivolge ma non gli do peso.

«Non ho ancora deciso Warren, mi sto concentrando sugli studi per il momento.» sgancio la bomba e Milton diventa rosso in volto perché avrebbe gradito una risposta che sarebbe stata falsa, nessuno a parte me sembra notarlo però.

«L'importante è concentrarsi e dare il meglio per diventare il meglio.» Warren alza il calice di vino in aria come a fare un brindisi, fortunatamente il vino non mi piace perciò mi astengo dal seguirlo.

Certo, perché al di fuori dei soldi non c'è altro, niente conta più di questo, niente conta più del diventare una macchina da soldi.

«Sai, sotto alcuni aspetti mi ricordi tua madre ma tu sei più intelligente ed elegante, hai la compostezza di tuo padre. Era una donna bellissima.» le parole di Warren non mi piacciono, mi piace meno però il modo in cui mi sta guardando.

Non mi piace essere paragonata alla donna che mi ha messa al mondo, tanto meno all'uomo che mi ha cresciuta.

«Che io sappia è ancora viva, perciò non capisco perché parli al passato.» rispondo a testa alta, senza mostrare segni di cedimento o debolezza.

Non puoi mostrare una ferita agli squali, finiranno per sbranarti in poco tempo, gli dai il potere di farlo.

«La bellezza e l'intelligenza svaniscono nel momento in cui ti mischi alla feccia Avalyne, tua madre ha fatto questo errore.» come se volete una vita diversa da questa, dalla loro, fosse un crimine.

CAIRODove le storie prendono vita. Scoprilo ora