Capitolo 55

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Basta un solo attimo a stravolgere tutta la tua vita, a farti smettere di credere in quell'illusione di una stabilità trovata, a cancellare via ogni traccia del sapore di una qualche felicità. Basta un solo attimo a far crollare tutte le tue certezze.

Un solo istante e smetti di credere in tutto ciò che avevi.

In un attimo solo Milton ha buttato giù la fortezza che credevo di aver creato intorno a me.

Lui è qui seduto difronte a me mentre mi osserva con gli occhi pieni di rancore, azzarderei odio come se io gli avessi mai fatto qualcosa.

Ha rovinato la vita a me e a Tara, eppure sembra quasi il contrario, sembra che la rovina effettiva per lui siamo noi.

Chissà, se avessi ascoltato Phoenix a quest'ora forse mi sarei evitata tutto questo odio gratuito, queste parole velenose. Eppure, qualcosa mi dice di aver fatto bene.

Ho fatto bene a venire, ho fatto bene a dire del bambino a Milton, ho fatto bene ad affrontarlo.

«Io ho occhi e orecchie dappertutto, Avalyne. L'ho saputo subito, perciò non avresti comunque potuto continuare a tenerlo nascosto per molto.» è questa la risposta secca che mi dà, dando per scontato che volessi nasconderlo, come se fosse certo del mio timore nei suoi confronti.

E magari prima era così, provavo un timore che celavo o quanto meno cercavo di celare, ora invece ho smesso di provare anche quella piccola briciola di timore.

Non ha più alcun potere su di me.

«Hai il brutto vizio di sottovalutarmi sempre e di fidarti di persone poco raccomandabili.» e so che le persone di cui parla sono Phoenix e gli altri.

Non sa quanto si sbaglia però, affiderei loro la mia stessa vita. Cosa che non farei mai con lui.

«Non era qualcosa che volevo nascondere, sono venuta qui proprio per dirtelo.»

Nascondere la gravidanza non è un'opzione, il bambino c'è e non lo nasconderei mai.

«Deduco che porterai avanti la gravidanza testarda e caparbia come sei, d'altronde ti ho creata a mia immagine e somiglianza.» mi dice guardandomi dritto negli occhi, «Sei tale e quale a me.» aggiunge con un sorriso che di gentile ha ben poco.

Non lo prendo come un complimento perché per me non lo è, anzi, è più un insulto.

«Io non sono neanche minimamente simile a te e sai perché, Milton?» gli chiedo con sicurezza, «Perché io a differenza tua so amare. So amare e rispettare le persone che mi circondano, so ascoltare, consolare e mettermi nei panni degli altri. Provo empatia e cerco sempre di essere gentile.»

Lui invece non ha un briciolo di umanità dentro di sé.

«E anche se credi che l'amore rende deboli, io sono certa del contrario, ci vuole coraggio e forza ad amare.»

È facile chiudere a chiave il cuore e gettare via la chiave per custodirlo, per giocarcelo e rischiare invece ci vuole coraggio.

«Che discorso toccante e sdolcinato, ti facevo più forte e intelligente di così. Sono profondamente deluso, puntavo tutto su di te, Avalyne.» mi guarda come se mi vedesse oggi per la prima volta e sembra seriamente convinto delle cose che sta dicendo, «Sei una Kostner quasi più di Taranee, lei non è niente di speciale, ha preso il carattere debole di vostra madre. Non ho mai avuto aspettative su di lei, mentre su di te ne avevo tante.»

Lo vedo che inevitabilmente gli occhi di mia sorella diventano lucidi, perché seppur sappia com'è fatto Milton, è comunque suo padre. Sentirsi dire delle cose del genere dal proprio padre è quasi sicuramente come se qualcuno ti stesse prendendo a pugni il cuore.

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