Capitolo 13

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Ci sono notti in cui vorrei piangere fino ad addormentarmi sfinita

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Ci sono notti in cui vorrei piangere fino ad addormentarmi sfinita. Notti in cui vorrei gridare per far uscire fuori il dolore, la stanchezza del non riuscire a chiudere occhio. Notti in cui vorrei rompere tutto, lasciarmi andare. Notti come questa.

Vorrei poter dire che starmene sul porticato, avvolta dal calore della mia coperta e con gli occhi puntati sulle stelle, serve a qualcosa o che allevia in parte la stanchezza che provo. Ma non è così, mi aiuta a calmare il respiro e a rilassare i muscoli del corpo in allerta, questo sì. Per quanto riguarda tutto il resto, invece, non aiuta poi molto, non cambia nulla.

So che probabilmente dovrei parlarne con qualcuno che possa aiutarmi, qualcuno che è esperto e capisca. Ma non trovo mai il momento adatto, continuo a ripetermi "oggi andrà meglio", oppure, "domani, Avalyne, puoi farlo domani, ora devi pensare a Caiden". In un modo o nell'altro finisco per rimandare sempre. Perché voglio farcela da sola, perché voglio uscirne con le mie forze.

I miei occhi, dapprima puntati sul cielo per guardare le stelle, si posano sulla figura di un uomo che si ferma davanti a quella che momentaneamente è casa mia.

Mettendo a fuoco la figura, ora illuminata dalla luce di un lampione, riconosco l'uomo, l'altezza e la sua notevole massa muscolare lo farebbero spiccare in mezzo ad altre mille persone. È Wolf. Ha il cellulare all'orecchio, lo allontana, sembra ci armeggi in fretta e furia, poi se lo riporta all'orecchio. Come se stesse chiamando qualcuno ma questa persona non rispondesse.

Decido di alzarmi, ancora avvolta nella coperta come una specie di fagottino e scendo le scale del porticato per avvicinarmi a lui, che non si accorge per niente della mia presenza impegnato com'è ad armeggiare con il cellulare.

«Va tutto bene?» gli domando, stringendomi nella coperta. I suoi occhi scattano subito su di me, sembra preoccupato e esistono poche cose al mondo in grado di preoccupare Wolf.

Comunque non si smuove di un centimetro, io al posto suo avrei lanciato un urlo per lo spavento, dato che in certo senso l'ho colto di sorpresa.

«Che ci fai fuori a quest'ora?» mi domanda di rimando, come se non lo sapesse. Insomma, non è la prima volta che ci incontriamo a notte fonda fuori casa.

A dirla tutta non è neanche la seconda o la terza, succede più spesso di quanto voglia ammettere, il che mi porta a pensare che la mia insonnia sta sul serio peggiorando.

«Lo sai già.» faccio spallucce, «Tu invece? Sembri piuttosto preoccupato, Lali sta bene?»

«Sta bene. Non è lei quella che mi preoccupa.» risponde, facendomi accigliare. «Non dovresti essere fuori da sola a quest'ora. Te l'avrò detto sì e no mille volte, forse di più.» mi rimprovera come se fosse mio padre o meglio, mio fratello maggiore. Ha lo sguardo severo.

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