Capitolo 17

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Impazienza.
/im•pa•zièn•za/
sostantivo femminile
-Reazione istintiva motivata da irritazione o molestia.
-Condizione di vivace sollecitudine, provocata e dall'attesa.

Nel mio caso sicuramente la seconda, non sono mai stata così impaziente di vedere qualcuno, di uscirci insieme, l'attesa non ha fatto altro che aumentare il desiderio di rivederlo.

Perciò prima ancora che lui arrivasse io ero già pronta da un bel po', se non avessi perso il vizio di mangiucchiarmi le unghie a undici anni, a quest'ora le mie dita sarebbero rivoltanti.

Il solo fatto di stargli dietro sulla moto, di avere il suo corpo a stretto contatto con il mio e le mie mani strette intorno al suo busto, suscita in me emozioni che non riesco a comprendere o che forse non voglio comprendere.

Non gli faccio domande su dove mi sta portando, non m'interessa, potrebbe portarmi da qualsiasi parte, in questo momento qui con lui e sulla sua moto, mi sento libera e non mi capita di sentirmici tanto spesso libera.

«Siamo arrivati.» è la sua voce che mi desta dai miei pensieri, non mi ero neanche accorta che la moto si fosse fermata.

Fantastico troppo, devo ammetterlo.

Scendo dalla moto, mi tolgo il casco che porta il suo odore e glielo porgo, lui lo mette sulla moto ed è in questo momento che mi decido a guardarmi intorno.

Siamo nel Bronx, questo è poco ma sicuro, intorno a noi ci sono dei palazzi, alcuni hanno le scale antincendio, alcuni sembrano malridotto e altri lo sembrano un po' meno, non ci sono persone in giro, non sono neanche sicura che ci abiti ancora qualcuno qui, tant'è silenzioso e privo di ogni forma di vita.

«Dove siamo?» gli chiedo, stringendomi le braccia intorno al corpo, qui fa leggermente freddo, quasi più di quando ero sulla moto.

«Questo è il posto in cui sono cresciuto.» dice e il mio cuore fa una capriola nel petto, non era ciò che mi aspettavo.

«È deserto.» dico dando voce ai miei pensieri, poi mi avvicino leggermente a lui perché in realtà mi trasmette anche un po' di angoscia e ansia.

«Non lo è, ci vivono per lo più persone anziane ora che l'unico rumore che potrebbero fare al massimo è un colpo di tosse, le poche persone giovani che ci sono il giorno dormono perché la notte lavorano.» mi spiega poi mi poggia una mano sulla parte bassa della schiena, «Ti va di vedere la casa in cui sono cresciuto?» mi chiede ed io annuisco subito.

«Certo.»

Così mi fa strada sempre con la mano appoggiata alla parte bassa della mia schiena, io davanti e lui dietro, percorriamo le scale del palazzo in cui è cresciuto e che portano al secondo piano, mi toglie la mano di dosso solo per prendere la chiave e maneggiare un po' con la serratura per far si che si apra.

Cairo mi mostra ogni singolo posto di questa casa, la cucina marrone ormai vecchia e un po' rotta, il soggiorno pieno di foto che studio con attenzione, la camera da letto dei suoi genitori con l'armadio che ha una rottura dovuta a quello che sembra un pugno, il bagno piccolo e blu, alla fine poi la camera che condivideva con Aiden e Riven.

Ci sono tre lettini, dei palloni da calcio sparsi in giro, alcuni libri sulle mensole, cd, dvd, una vecchia PlayStation, una televisione piccola, poster di moto e donne mezze nude.

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