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Alya si svegliò, anticipò la guardia, si alzò dal letto. Naditza era ancora nel mondo dei sogni e Silvia aveva gli occhi aperti ma era ancora nel letto, così Alya se ne approfittò per usufruire il bagno. Si preparò, prima si fece una doccia e infine si vestì, optò per un pantalone largo e comodo, color grigio e una maglia a maniche corte nera. Si legò i capelli in coda di cavallo. Non si truccò, non ne aveva bisogno. 
Una volta pronta, uscì dal bagno. 
Trovò Silvia in piedi e Nad che si lamentava che non voleva alzarsi dal letto. 
"Ancora cinque minuti, vi prego!" Esclamò la ragazza. 
"No fanciulla, niente cinque minuti! Se ti trovo ancora così fra pochi secondi, ti faccio buttare giù dal letto da Silvia e lei ne è capace!" Esclamò la guardia. 
Nad la guardò male, mentre Silvia e Alya se la ridevano. 
"Mi state prendendo in giro, voi due?" Chiese Nad alle ragazze. 
"No ... " Silvia era divertita. "... ma se non ti alzi, ne sono costretta!" Esclamò cercando di non ridere. 
Nad le fece il dito medio e Silvia scoppiò nuovamente a ridere. 
Dopo qualche minuto, si prepararono anche loro.
Una volta pronte, andarono in mensa a fare colazione. 
Come sempre, la ragazzina mangiò tutto. Poi si ricordò che aveva l'incontro con la psicologa, ne era spaventata. Non le piaceva confidarsi con chi non conosceva. Si maledì per aver cambiato idea. 
"Che hai?" Le chiese Nad. 
"Tra poco ho l'incontro con la psicologa e ... e sono un po' in ansia!" Rispose Alya. 
"Ti farà solo che bene parlare, credimi ... " Silvia le sorrise con dolcezza. "...anche io ci sono passata, capisco la tua ansia ma devi stare solo che tranquilla, perché veramente è una persona eccezionale!" Esclamò Silvia. 
"Concordo!" Intervenne Nad. 
"Tu vai lì tranquilla!" Esclamò Silvia. 
Finirono di fare colazione e infine tornarono in cella. 
Alya aspettò che la chiamarono, così si buttò nel letto. Sbuffò , era timorosa solo al pensiero di ripensare al doloroso passato, cosa le hanno fatto passare sia suo padre e anche il suo cosiddetto fidanzato! Oramai defunto per colpa sua. Si sentì in colpa di averlo ucciso, aveva ormai le mani macchiate di sangue e questo la spaventò ancora di più, perché il tempo che doveva passare dietro le sbarre era tanto, quasi tutta la sua vita. 
"Esposito ... " La guardia era fuori dalla cella della ragazzina. 
"...andiamo!" Esclamò la guardia. 
Alya si alzò da letto, guardò la donna. 
"Devo per forza?" Che domanda stupida che faccio! Pensò la ragazzina.  
"Sì, Esposito!" Rispose la guardia. 
S'incamminarono. Alya era ancora più in ansia di prima, non era da lei parlare apertamente, ma da una piccolissima parte di lei, riusciva a stare tranquilla, perché tutto quello che confidava alla psicologa, rimaneva segretamente tra loro due. 
Arrivarono davanti lo studio della psicologa, la guardia bussò alla porta e aprì. Alya rimase lì, impalata come una statuetta. 
"Forza entra, Esposito!" Esclamò la guardia. 
La ragazzina la guardò, con sguardo supplichevole, ma la guardia non si fece ingannare. Alya sbuffò e infine prese coraggio ed entrò nello studio. 
"... io sono qui fuori, appena finite ti riporto in cella." Esclamò la guardia. 
Alya si limitò ad annuire. La guardia chiuse la porta. 
Vide una donna dai capelli rossi rame, occhi di un azzurro acceso e un sorriso a trentadue denti, diede una bella sensazione alla ragazzina. 
"Alya, finalmente ci conosciamo!" Esclamò la donna. 
Alya si sedette. 
"Salve, piacere di conoscerla." Rispose la ragazzina. 
"Dammi del tu, Alya!" 
"Ahm, okay!" 
"Che bel nome che hai, ha un significato?" Chiese la donna con tono dolce. 
"Anima, significa anima." Rispose la ragazzina. 
"Davvero significativo e bello allo stesso tempo  ... " Sorrise. "... io mi chiamo Alice, sarò la tua psicologa. Ti spiego un po' cosa faremo insieme Alya, così ci conosciamo e poi quando te la senti, mi parli un po' di te. È un modo per farti stare un po' di più a tuo agio." Esclamò Alice sorridendo. 
Alya fece un mezzo sorriso. Le piaceva come persona, le dava sensazioni belle, ma ancora non se la sentì di parlare. 
La psicologa le fece un paio di domande, normali che la ragazzina rispose tranquillamente.

Fino a quando, le fece una delle domande che fece male alla piccola Alya. "Parlami un po' dei tuoi genitori, che rapporto hai con loro?" Le chiese. 
Alya s'incupì. 
"La... la mia mamma non c'è più ... " Gli occhi della ragazzina diventarono lucidi. 
"... l'ho persa quando avevo solo quattro anni ..." Si asciugò una lacrima dispettosa. "... la mia mamma era una donna dolce e amorevole, mi manca da morire. Non ... non so di cosa è morta, ero troppo piccola." Rispose Alya. 
"Mi dispiace Alya. E il tuo papà?" Il suo papà, Alya spesso lo definì genitore biologico, non era il suo papà! Alya era una ragazzina che le mancava una parte importante di sé, e quella parte era quella paterna, che la cresciuta sì, ma non come una ragazzina normale, la fatta crescere nella violenza, nel dolore che è cresciuto fino alla sua età adolescenziale. 
"Quel ... quel uomo che dovrei definire papà, non ho mai ricevuto amore da parte sua." Erano parole che pronunciò freddamente ma allo stesso tempo con tanto dolore e questo Alice lo intuì. 
Guardò la ragazzina per lunghi minuti, di cui Alya si sentì in soggezione, sembrava che la donna la studiasse. 
La ragazzina guardò lo sfondo della scrivania per tutto il tempo per non incrociare lo sguardo della donna. 
"Sai Alya, tu sei nata da una famiglia violenta ... " la ragazzina la guardò. Si chiese come abbia fatto a capirlo, non gliene aveva ancora parlato. "... si capisce dal tuo sguardo. Fai spesso fatica ad esternare le tue emozioni più profonde, lo so che è doloroso ripensare a quello che hai vissuto, ma sono qui per aiutarti ... " Le fece un  sorriso d'incoraggiamento. "... ti do un compito da fare, ti chiedo di scrivere su un diario, tutto ciò che senti, questa settimana prova a pensare ciò che senti per i tuoi genitori, così al prossimo incontro ne riparliamo, ti va?" Le chiese. 
Alya annuì. 
Intanto in cortile, Ciro era seduto come al suo solito nella sua panchina, stava fumando la sua seconda sigaretta e stava fissando il Chiattillo. Sentiva che stava nascondendo qualcosa e lui voleva sapere di cosa si trattava. 
"Oh Cirù ... " Si avvicinò Edoardo. "... c'è Viola che ti sta fissando!" Esclamò l'amico. 
Ciro guardò avanti a lui e vide la ragazza che lo guardava con mezzo sorriso. Loro due avevano una specie di relazione, Ciro provò solo attrazione fisica verso quella ragazza, mentre lei, lo usò solo per aver vita facile lì dentro. 
Ciro chiamò Lino per farsi aiutare ad andare in laboratorio con la ragazza. La guardia lo accompagnò senza ribattere. "Hai solo venti minuti, Ciro!" Esclamò Lino. 
Ciro entrò in laboratorio e infine lo raggiunse la ragazza, che gli saltò addosso. 

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