87 L'ultimo bacio 🔥

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1 gennaio 2018

Serena

Che frustrazione!

Ares stava impiegando un'eternità per lavarsi, e io ero talmente distratta da non riuscire neanche a vincere contro l'intelligenza artificiale della console. Sospesi il gioco, dirigendomi verso il frigorifero per bere un sorso d'acqua. Sul mobile, qualcosa catturò la luce e brillò: erano i miei vecchi occhiali, quelli che avevo smarrito nel bosco. Erano danneggiati, ma dello scotch li teneva saldi e uniti.

Perché li ha Ares? Perché li ha aggiustati?
Forse credeva che potessero servirmi ancora... credeva che fossi umana. Gli piacevo da umana... e ora, potrei mai piacergli? Gli piacerei anche se sapesse che ho fatto del male a una persona? Gli piacerei anche se sapesse che sono una specie di mezza fae dai poteri ambigui?

Eravamo fuoco e rabbia. Stelle in un cielo buio. Ma io, io ero letteralmente il fuoco.

Le farfalle potevano scatenare incendi a causa della mia ira incontrollabile. Non deve succedere di nuovo. Devo imparare a dominare i miei poteri. Ho bisogno di un mentore che mi guidi.

«Curiosi in giro?» La voce di Ares mi fece sobbalzare e, presa di sprovvista, mi voltai di scatto verso di lui.

Diavolo, poteva almeno vestirsi. Quel misero asciugamano, intorno ai fianchi ben definiti, lo rendeva attraente.

«Grazie per averli aggiustati», dissi, stringendo gli occhiali come se fossero un tesoro.

«No, non ci sono riuscito. Non posso riparare il vetro scheggiato», rispose Ares, prendendoli con delicatezza dalle mie mani. «Li butto, non ti servono più.»

«No! Sono miei, decido io», insistetti, avvertendo un'ondata di possessività per quel frammento del mio passato.

«Ma sono rotti», replicò lui, scrutandoli con uno sguardo carico di rimpianti.

«Non importa», sibilai fermamente.

«Dovresti lasciar andare le cose che potrebbero ferirti, Serena. Potresti tagliarti un dito», mi avvertì preoccupato, posando gli occhiali sul mobile.

«Dopodiché guarirebbe in un istante», ribattei, con un sorriso amaro. La parte della mia natura licantropa mi garantiva una guarigione rapida, malgrado non potesse proteggermi dal dolore del ricordo.

«Certo, però non voglio che tu ti faccia del male. Dovresti andartene anche da qui, da me. Ci siamo avvicinati solo a causa delle circostanze, non devi sentirti in dovere o in soggezione se vuoi andare via. Le cose non torneranno come prima», disse Ares, con una voce che tremava leggermente.

«Non voglio che le cose tornino come prima», risposi, e al suono delle mie parole, vidi un'ombra di tristezza attraversare il suo viso. «Prima vivevamo nella menzogna. Ora ogni momento è vero.» Mi avvicinai a lui, accarezzandogli i capelli bagnati.

Ares sembrava un cucciolo bisognoso di affetto, e mi piaceva immaginarlo così perché desideravo dargli quell'affetto. Mi era mancato tanto.

«Vai ad asciugarli, non siamo immuni al raffreddore. Inoltre si sono allungati. Ti verrà la cervicale da anziano se continui così», ridacchiai, tentando di alleggerire l'atmosfera.

«Dovrei tagliarli», contemplò, quasi a sé stesso.

«C'è un parrucchiere? Ti accompagno se vuoi», offrii, pronta ad aiutarlo in qualsiasi modo.

«Me li taglio da solo, nessuno tocca i miei capelli!» sentenziò con un tono che non ammetteva repliche.

«Anche io! Ne sono gelosa», sorrisi alla nostra similitudine.

like camellia's in springDove le storie prendono vita. Scoprilo ora