Parte 49

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All'indomani mi svegliai come non facevo da tempo.

Era il gran giorno, sarei uscito dalla cella e dal carcere.

Insomma, era mio giorno, quello che si cerchia sul calendario.

Al mio risveglio trovai un pezzo di crostata e un biglietto con su scritto: "ho saputo che ti sei lamentato del mio menù, perciò anche l'ultimo giorno non cambio. Firmato il cuoco. "

Lo trovai divertente, quel giorno non me lo sarei fatto rovinare da niente e da nessuno.

Knock, quel suono, ormai lo conoscevo molto bene e immaginavo di sapere chi sarebbe entrato dalla porta.

Infatti, non sbagliai.

- Buongiorno, sei pronto per il grande giorno? –

Ovviamente era entrato Albert.

- Assolutamente sì – risposi con gioia e felicità.

- Bene, ma prima ti porto a darti una lavata. –

Mi portò nello spogliatoio del carcere.

- Ci vediamo quando hai finito, io ti aspetto fuori. Un'ultima cosa. Metti questi

– porgendomi dei vestiti puliti.

Rimasto solo nello spogliatoio, mi buttai immediatamente sotto l'acqua.

Non posso spiegare l'effetto piacevole dell'acqua calda, dopo giorni di acqua fredda.

Mi godei ogni singola goccia.

Ad un certo punto notai che la mia pelle, in alcune zone, era diventata rossa per l'acqua calda.

Questo perché non mi accontentai di avere l'acqua tiepida, ma la regolai

bollente.

Visto il rossore, era ora di uscire dalla doccia.

Mi asciugai e indossai i vestiti che mi aveva procurato Albert.

L'abbigliamento era molto casual: scarpe da ginnastica nere, jeans blu e una maglietta a maniche lunghe grigia.

Uscii dallo spogliatoio e trovai subito Albert, un po' annoiato per l'attesa.

- Possiamo andare – esordì

Percorremmo un corridoio, piuttosto lungo, fino a che iniziai a vedere le indicazioni di uscita.

Capii che ero davvero vicino a lasciare quel posto.

Arrivammo al portone d'ingresso.

- Da qui puoi proseguire da solo. Tieni anche questi. – porgendomi dei soldi.

- Grazie di tutto – quasi piangevo, un po' per il fatto di lasciare quel posto, un

po' per Albert, forse l'unico amico che avevo nella realtà.

Aprii il portone e in un attimo, mi ritrovai dall'altra parte.

Ad accogliermi un bel sole che sembrava darmi il benvenuto.

Ora che ero libero, potevo fare quello che volevo.

Il giorno dopo, avrei iniziato il corso di reinserimento, ma non volevo pensarci, volevo solo vivere quel momento.

Girandomi attorno, tutto mi sembrava nuovo e una grande voglia di esplorare la città mi venne da dentro.

Per fortuna, poco distante da me, trovai una di quelle agenzie che permette di visitare la città su un pullman scoperto.

Lentamente mi avvicinai e chiesi un biglietto.

Il pullman ricalcava perfettamente lo stile della città.

Infatti, aveva linee, piuttosto morbide, accentuate dal colore, un grigio metallico che lasciava spazio a delle sfumature azzurrine.

Mi accomodai al mio posto, dopo qualche minuto, in cui andò a riempirsi il

pullman, l'autista mise in moto.

Arrivò anche una guida che man mano visitavamo, ci raccontava varie vicissitudini che la storia aveva lasciato.

Io ero più emozionato nel vedere i vari elementi che compongono una città:

case, chiese, monumenti ..., piuttosto che ascoltare la guida.

Ma in una circostanza attirò la mia attenzione.

Ci trovavamo davanti ad una statua che rappresentava un uomo con una bandiera azzurra con su uno stemma.

Immediatamente chiesi informazioni.

Mi fu risposto che quella statua non faceva parte del giro, ma che, se ero interessato, finito tutto, mi avrebbe raccontato tutto.

Così rimasi il resto del tempo ad aspettare la fine.

Non è il massimo, visitare una città e aspettare per farsi raccontare la storia di una statua. Ma non scegliamo noi che cosa colpisce la nostra curiosità.

Finalmente finì il tour.

La guida scese subito dal pullman, io lo rincorsi.

- Aspetti un attimo. – urlai

Si voltò immediatamente e si ricordò di cosa mi avesse promesso.

- Scusa, mi era passato di mente. –

Mi offrì di accomodarci ad un tavolino sul marciapiede, di proprietà di un bar

vicino.

- Ti va un caffè? – mi chiese, appena seduti.

- Volentieri. –

- Ma a chi lo ordiniamo? – chiesi, non vedendo camerieri negli intorni.

Mi guardò un attimo basito, poi toccò tre volte velocemente il tavolino e

apparve un'animazione di una ragazza che ci chiese cosa volessimo ordinare. Dopo circa due secondi dall'ordinazione, un drone ci portò un vassoio con due caffè e alcuni biscotti.

Dire che rimasi basito è poco.

- È la prima volta che vieni in città? – notando la mia sorpresa.

- Si nota tanto? –

- Un po', hai sempre vissuto in una delle colonie? – mi chiese, anche se era sicuro della risposta.

Io, che non avevo alcuna idea di cosa stesse parlando, ma mi sembrava meglio assecondarlo, piuttosto che raccontare tutta la mia storia, risposi.

- Sì, ho sempre vissuto lì. – senza aggiungere elementi che avrebbero fatto capire che mentissi.

- In ogni caso, tu vuoi sapere la storia della statua che abbiamo visto prima? –

mi domandò, ritornando al motivo del caffè.


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