Parte 56

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Fermo e in silenzio, riflettevo e cercavo di comporre il puzzle della mia vita. Molte parti cominciavano ad incastrarsi una con l'altra, ma molte altre rimanevano sconnesse. Inoltre, provavo ad immaginare cosa potessero fare sia gli altri abitanti del mondo reale e sia quelli del mondo digitale. Immaginavo che Demo e Alexander avessero superato i loro contrasti e insieme guidavano la tribù della fratellanza.

Immaginavo che Beatrice fosse diventata una grande giornalista.

Non sapevo quanto tempo fosse passato nel Regno dal nostro ultimo incontro, quindi potevano anche essere trascorsi anni.

Immaginavo che Albert controllasse, insieme agli altri scienziati, cosa succedesse qui.

Continuai a ipotizzare e fare congetture fino a quando Kostas o, meglio, ormai lo possiamo chiamare Alexis, mi domandò...

- A che cosa stai pensando? -

- Presumevo cosa stessero facendo tutti quelli che ho incontrato da quanto mi sono svegliato qui la prima volta. –

- Pensavi anche a Demo e Alexander? -

- Sì, certo. -

- Allora perché non andiamo a vedere come stanno? - mi domandò, prendendomi assolutamente in contropiede.

- Per me va bene. - ero sconcertato, per tutto questo tempo si era tenuto in disparte, lontano da tutto e da tutti, e adesso voleva vedere Demo ed Alexander?

Fatte un po' di provviste, non perdemmo altro tempo.

Ovviamente a fare strada fu Alexis che conosceva per filo e per segno quei luoghi.

Come detto, mi trovavo in una zona che non conoscevo.

Non avendone mai sentito parlare, pensai che non la conoscessero in molti. Ero molto contento di rincontrare sia Demo, sia Alexander.

In fondo sono stati per me, quello che più si avvicinava ad una famiglia.

Proprio questo rapporto famigliare, mi poneva davanti ad un dubbio amletico: avrei dovuto raccontargli la verità? Dal mondo digitale, al perché

fossero realmente qui? Senza dimenticare la vera identità di Kostas.

Per fortuna, avevo ancora un po' tempo per decidere il da farsi.

Passo dopo passo, mi sembrava, che sia il tempo, che lo spazio si fosse fermato.

Lo scenario intorno a me era sempre uguale, una giungla non troppo fitta che, con i suoi alberi, sembrava mi guardasse soffiando un leggero vento che mi sfiorava il viso.

Per tutta la giornata, non facemmo altro che camminare e camminare.

La luce che, ormai lo posso dire, era artificiale lasciava il posto all'oscurità. Quando la visibilità scese di molto, sembrò uno stop naturale.

Come se la giungla di prima, ci avesse detto: adesso basta.

- Per oggi fermiamoci qui, domattina ripartiamo. - Alexis non sembrava stanco, io, invece, ero esausto e poco disposto a parlare.

Rosicchiammo qualche spuntino di quel che c'eravamo portato, subito dopo, dormivamo come ghiri.

All'indomani, una flebile luce, mi illuminò il viso, il mio risveglio fu molto dolce, perché nell'aria sentivo una fragranza molto buona. Ricordava vagamente la lavanda.

- Buongiorno. - esordì Alexis, mentre compariva da dietro un albero.

- Buongiorno, allora riprendiamo il viaggio? - ero riposato e pronto ad una nuova giornata.

- Prima, facciamo colazione. Ho raccolto delle bacche. - porgendomi una bella manciata.

Mi era vagamente famigliare, forse perché in tanti atteggiamenti di Alexis, vedevo le stesse movenze di Demo.

Dopo questa leggera mangiata e, bevuto un sorso d'acqua, potevamo riprendere il viaggio.

Mancava sempre meno all'incontro con la tribù e ancora non avevo deciso se fosse il caso di raccontargli la verità.

Ero propenso a dire tutto. Dovevano sapere che non erano imprigionati per chissà quali crimini, ma perché si erano opposti ad un regime autoritario.

Avevo dunque preso una decisione?

Vivere con la consapevolezza di aver fatto cose orribili è deteriorante.

Portare questo fardello dentro, ti consuma a poco a poco e, alla fine, ti mostra il conto.

D'altro canto, non è forse vero che il peggior giudice è il proprio io?

Se uno è bravo, può far credere alla gente quello che vuole, ma non potrà mai far credere sé stesso alle proprie bugie.

A ragione di ciò, avevo davanti a me, l'esempio giusto: Alexis.

Per il mondo era un eroe nazionale, da ammirare e rispettare, ma lui non si sentiva per niente un paladino della giustizia, neanche un qualcosa che gli potesse assomigliare.

Era un uomo distrutto che non si sapeva perdonare per quello che aveva commesso.

Perché perdonare te stesso è la cosa più difficile di questo mondo.

- Non manca molto, facciamo una pausa. - disse Alexis, interrompendo la nostra marcia.

Seduti sull' erba fresca, finimmo le ultime scorte di cibo e di acqua.

- Posso farti una domanda? - chiesi, sperando ovviamente in una risposta positiva.

- Sì, certo. -

- Hai intenzione di rivelare la tua identità e tutto il resto a Demo e Alexander? -

Il suo viso si fece più scuro e, guardando in basso, mi disse.

- Per troppo tempo ho taciuto e mi sono tenuto in disparte, ora è venuto il momento di raccontare tutta la verità.

Ho visto la formazione delle tribù e di come si sono combattute.

Adesso basta. -

Mi fecero piacere quelle parole e mi trovarono pienamente d'accordo.

Devo anche ammettere che mi sembrò omettere una parte dei suoi intenti. Non credevo che, dopo tutto questo tempo, avesse voglia solo di dire la verità.

C' era qualcos'altro ed ero sia curioso, che spaventato.

Il non sapere che cosa avesse in mente era rischioso, ma tant'è, subito dopo, riprendemmo il cammino. Ormai non mancava molto.


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