Parte 48

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Tornammo nell' ufficio di Albert.

Di tutto quello che avevo saputo quello che più mi aveva dato da pensare era stata la mia condanna.

Che cosa avrei mai potuto combinare per essere stato condannato a morte?

Il mio amico Albert, ormai lo consideravo tale, sembrava aver capito il mio

stato d' animo.

- Come ti senti? Hai metabolizzato tutto quello che ti ho detto? –

Feci un leggerissimo sorriso.

- Credo di sì, la domanda giusta è: si può metabolizzare una simile situazione?

Questa volta, fu lui a fare un leggerissimo sorriso. Ebbi una specie di flashback, sarei uscito di prigione.

- Voglio vedere il lato positivo di questa situazione. – esclamai.

- E cioè? –

- Mi hai detto che domani uscirò di prigione. –

- Vero, a proposito di questo.... –

- Non dirmi che ci sono dei problemi? –

- No, ma dovrai frequentare un corso di reinserimento. –

- Da solo? – chiesi, molto perplesso e scocciato per la notizia.

- Ovviamente no, sarete una decina fra uomini e donne. –

- Donne? Ma qui non ci sono donne. – chiesi, sempre più perplesso.

- Infatti, tutta questa struttura è per uomini, poi ce n'è un'altra per le donne. –

- Chiaro, dove dovrò frequentare il corso? –

- È una scuola, ogni mattina ti recherai a frequentare le lezioni. –

Dopo questa conversazione, preferì farmi riaccompagnare in cella.

Preferivo passare il mio ultimo pomeriggio in cella a pensare e riflettere.

Una volta dentro quella stanza e, lasciato in completa solitudine, la mia mente immaginava che cosa potessero fare in quel momento gli abitanti del Gabbio.

Alexander e Demo avranno superato le loro incomprensioni? E la tribù di Fobo avrà trovato il villaggio della fratellanza? E se fosse così, la tribù della fratellanza avrà saputo difendersi, potendo contare sull' addestramento di Demo?

Tante domande, ma nessuna risposta.

Durante il percorso dall' ufficio alla mia cella, provai a chiedere informazioni ad Albert, ma questi non volle rispondermi, dicendomi che ciò che accadeva nel mondo digitale era un segreto.

Un segreto? Mi aveva da poco raccontato e fatto vedere cose ben più importanti.

La mia risposta a questo strano comportamento fu che era successo qualcosa di brutto e, che per non farmene dispiacere, evitò di informarmene.

La morte di uno degli abitanti non era affatto improbabile. Da qui, mi venne in mente una domanda su quello che avevo visto prima. Più risposte, portano ad avere nuove domante.

Nel mio caso la nuova domanda era la seguente: se un abitante moriva, moriva solo in quel mondo digitale, oppure anche nella realtà?

Bella domanda, sarebbe stato meglio mi fosse venuta prima.

Senza neanche farci caso, mi ritrovai davanti alla porta. Guardando dal vetro, guardai la cella, dall' altra parte del corridoio.

Guardavo continuamente la cella numero 22 e, soprattutto, guardavo il suo inquilino.

Cercavo di capire perché mi fosse famigliare e se lo avessi visto da qualche parte.

Riuscì a fare mente locale e ricordare dove avessi visto quel ragazzo.

Si trattava di uno dei ragazzi della tribù di Fobo ed ero anche sicuro che si trattasse di uno di quelli rimasti uccisi per opera dei guardiani.

Questo poteva rispondere alla mia domanda, se quel ragazzo si trovava in cella, nonostante fosse morto nel mondo digitale, vuol dire che chi muore lì, non muore anche nella realtà.

Ma, come ho detto prima, avere risposte, pone altre domande.

Ma allora perché a me, invece di uccidermi, mi hanno addormentato per portarmi via?

Aveva a che fare col fatto che io ero fisicamente nel Gabbio? Probabile, ma non potevo averne la certezza.

Arrivò ora di cena.

Ancora una volta il cuoco della struttura, non si mostrò molto fantasioso e arrivò il solito toast.

Mangiai senza molta voglia, il sapere che all'indomani sarei stato libero, mi dava una grande adrenalina, ma anche una tiepida paura.

Chissà com'era il mondo fuori dal carcere. Da che ho memoria, la mia vita è iniziata nella pianura e proseguita in carcere.

Knock, qualcuno bussa alla porta.

- Ehi, sono venuto a darti la buonanotte! – era Albert.

- Grazie. – risposi, molto sorpreso di vederlo.

- Scusa, ma ho bisogno di sapere che fine fanno le persone morte nel mondo digitale. –

- Penso che conosci già la risposta. –

- Si risvegliano qua dentro? –

- Esatto, sapevo che ci saresti arrivato da solo. –

- Perciò ogni morte nella pianura è architettata da voi? –

- Ogni cosa che accade lì è opera nostre, comprese le morti degli abitanti. –

Mi salutò con la mano, e si voltò per andarsene.

- Aspetta! – gli ordinai sul ciglio della porta.

- Non mi hai ancora detto qual è il mio vero nome. –

- Non lo so. –

- Come sarebbe a dire che non lo sai? – chiesi, un po' arrabbiato e deluso.

- Come ti ho già detto, ogni documento che ti riguarda è stato segretato.

Ti racconto come è andata.

Un giorno un gruppo di soldati ha portato un prigioniero, dicendoci che era stato condannato a morte. A ogni nostra domanda, aveva sempre la stessa risposta: "non sono affari che vi riguardano".

Si congedarono e lasciarono il prigioniero qui in attesa dell'esecuzione.

A noi l'idea di vederlo uccidere non piaceva, quindi riuscimmo ad ottenere che venisse mandato al Gabbio con un nuovo metodo ancora sperimentale, ad alto tasso di rischio.

Chiedemmo documenti o, almeno il suo nome, ma niente.

Così scegliemmo un nome noi, Prometeo, simbolo della ribellione agli dèi,

ci parve consono. – finì, il racconto con un sospiro.

- Sai chi è il prigioniero? - chiese ironicamente.

Io, che di scherzare non avevo alcuna voglia, mi limitai ad un leggero sorriso.

- Ancora una cosa, ma nemmeno io, conoscevo il mio nome? – chiesi, pensando che fosse impossibile che una persona non ricordi il proprio nome.

- Purtroppo, no, vedi quando ti portarono qui, ti avevano già cancellato la memoria. -

Dopo questo, non avevo il coraggio per altre domande.

Albert se ne andò e io presi subito sonno, forse perché il mio cervello era stanco e affollato di informazioni.


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